lunedì 16 dicembre 2013




Essere italiani oggi,  senza indignarsi.

 di Gianni Conti
 

 

Ci avviciniamo all’inverno in un clima di maggiore ottimismo rispetto al 2012. Il “malefico” spred appare meno preoccupante degli anni scorsi, la produzione industriale, dopo molti anni di enesorabile rialzo, sembra in leggera ripresa nonostante le delocalizzazioni, il rallentato credito bancario e soprattutto il calo crescente dei consumi, nonché i ritardati pagamenti dello Stato e  degli Enti locali. C’è, purtroppo, la stagione dei contratti e un “Patto di stabilità” che non promettono niente di stabile sul piano politico e sindacale. Infatti, dopo la spaccatura del partito di Berlusconi e la presa di posizione della componente governativa facente capo ad Alfano, quest’anno non pagheremo l’IMU sulla prima casa. Il PD, grazie all’imposizione sugli immobili sul modello di “service tax”, riformula le tasse con elementi di maggiore progressività. Sugli effetti della legge, cosiddetta “Patto di stabilità”, secondo i vertici dell’Europa, le prospettive dell’economia italiana inducono a valutazioni ancora pessimistiche. Sul piano politico, invece, i partiti italiani, vecchi e nuovi, o in via di “costruzione”, sono tutti in fibrillazione. Occorreva che cambiasse la società italiana per arrivare ai cambiamenti dei partiti. Infatti la società di oggi non è più la società degli anni ’60 e ’70, e quindi è necessario prenderne atto, e adeguarsi prima che l’antipolitica abbia il sopravvento in modo populista o, addirittura, anarcoide. La crisi  coinvolge  tutti i partiti; quelli di destra, di sinistra e di centro. Prosperano (attualmente) i cosiddetti “Grillini” per la comprensibile indignazione dei cittadini; spettatori inermi di fronte ad uno spettacolo degradante; fatto di “Porcellum”, di ruberie, di sprechi, d’incompetenza, di carrierismo e di vuoti proclami. Dunque, la società d’oggi non si controlla più con facili promesse ed apparati pletorici e burocratici; i partiti non possono dare più risposte valide e concrete alla società italiana sempre più complessa se non possiedono una classe dirigente seria, preparata ed onesta; che dispongano strutture di analisi del sociale e dei mutamenti del mondo del lavoro e dell’economia globalizzata. E’ necessario ridare fiducia e speranza al cittadino, soprattutto alle nuove generazioni. Leggere la situazione italiana attraverso l’osservatorio artigiano di Mestre, le analisi dell’Asso Industria per bocca del Presidente Squinzi; i dati e le cifre della confederazione del Commercio ci sente quasi trascinati  nel mezzo di uno scenario sconvolto dalla tempesta e dominato dalla desolazione.

Le analisi non contengono soltanto una spietata denuncia del calo costante della crescita economica e del cosiddetto PIL, ma anche i mali del Bilancio dello Stato e quindi dell’economia del Paese. Tra questi mali c’è l’esigenza di semplificare un complesso rapporto tra finanza statale e finanza regionale e degli enti locali in un quadro di più rigoroso controllo della spesa. Detto questo, è necessario sorreggere il Governo Letta nello sforzo immane che è chiamato a compiere; e cioè, compiere la “quadratura del cerchio” in un clima avvelenato tra le forze politiche. Mai come in questi ultimi anni si è invocato concordia e amore per il bene comune, per il Paese, per la famiglia. Assistiamo, invece a contrapposizioni tribali altro che ideologiche. Non è servita a niente l’esperienza dirompente del partito armato del terrorismo. Però occorre ancora sognare: sognare la “Grande riforma istituzionale” per dare spazio e idealità alla nuova classe dirigente del nostro bistrattato Paese. E poi, solo i giovani hanno diritto alla protesta, che è sintomo di maturità e presa di coscienza di una nuova società che ha necessità di nuove spinte ideali ma anche di fatti concreti sul futuro delle nuove generazioni. La particolare sensibilità dei giovani, soprattutto quelli delle isole e del Sud in genere, di avvertire e di assumere posizioni di pungente critica, è il sintomo più evidente del “loro” impegno civile; la protesta contro la degenerazione politica, che ha trasformato i partiti in fantomatiche aziende personali, capaci di sformare programmi elettorali ingannevoli, “slogans”, e promesse da marinai, senza carica ideale, né politico né sociale. A cinquanta dalla morte di Kennedy, i fatti storici ci dimostrano che la reazione conservatrice è sempre in agguato, pronta a colpire ogni nuova idea di cambiamento.

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