lunedì 23 giugno 2014

LA NUOVA PORTA DI FIRENZE E L'AREA METROPOLITANA di Renzo Manetti


Firenze si appresta ad avere un nuovo sindaco e un nuovo consiglio comunale. È giusto dunque fare una seria riflessione sulle questioni aperte, che sono tante, e sulle priorità che la nuova amministrazione dovrà porsi. Non si tratta infatti solo di asfaltare le buche nelle strade che sono, credetemi, il problema minore, comune del resto a tutte le grandi città italiane. Dobbiamo guardare oltre alla manutenzione ordinaria della città, per immaginarne e costruirne il futuro. E questo futuro dovrà esser degno del nostro passato. Ci attende una grande sfida, che la passata amministrazione ha solo avviato. Non pretendo di esaurire tutte le problematiche aperte, dall'aeroporto, a un nuovo centro congressi, al potenziamento del polo espositivo, alle infrastrùtture viarie, al sistema del verde, all'accoglienza e alla solidarietà. Intendo solo evidenziare alcune questioni, senza pretendere che le altre siano meno importanti.

La nuova amministrazione sarà chiamata innanzitutto ad approvare il nuovo Regolamento Urbanistico (Ruc), che sostituirà il Piano Regolatore dell'architetto Vittorini. Questo strumento urbanistico è attualmente all'esame della commissione consiliare, ammantato di una segretezza che in passato non si era mai adoperata, tanto che sulla stampa sono già sorte le polemiche: "cosa avete da nascondere?". In effetti è ormai prassi consolidata che gli strumenti urbanistici debbano essere elaborati con la massima trasparenza, in un rapporto costante con associazioni e cittadini, non per cercare di mettere d'accordo tutti che sarebbe cosa impossibile, ma per garantire il massimo della partecipazione e dell'aderenza ai bisogni della città. La segretezza è dunque, in questa fase, incomprensibile, capace solo di innescare inevitabili e probabilmente immotivate dietrologie.

Il Consiglio ancora in carica dovrà adottare il RUC, ma l'approvazione, come l'esame di tutte le osservazioni, spetterà al consiglio che uscirà dalle urne. Non sarà cosa da poco perché questo Regolamento si è posto la sfida di incentivare il recupero e la riqualificazione della città, evitando di costruire su aree ancora libere. Per questo è un Regolamento nel quale sono fondamentali le norme. Sarà proprio qui che si misurerà la capacità dell'amministrazione: il Piano Strutturale ha introdotto il concetto di perequazione urbanistica, di trasferimento dei vecchi volumi dalle zone centrali a quelle periferiche, garantendo idonei incentivi. Ma le norme per far tutto questo spettano al RUC ed è da queste che potremo capire se siamo di fronte ad affermazioni velleitarie o di sostanza. Il rinnovo della città passa da qui. Le norme devono essere snelle, favorire il recupero dei complessi edilizi maggiori, ma anche e soprattutto delle case, dei laboratori artigiani senza i quali il centro storico perde la sua identità. Si deve garantire non solo l'involucro edilizio, ma che questo sia adeguato alle necessità del tessuto sociale. Norme snelle dunque, facili da comprendere e da attuare, non pignole, che non pretendano di entrare nei dettagli minuti, che lascino vivere e respirare la città.

Ma il RUC non può essere solo questo, non deve essere fatto solo di numeri e di indici, di superfici e volumi. La pianificazione dei numeri ha fatto il suo tempo e ha mostrato tutti i suoi limiti, la sua incapacità di gestire la qualità della vita. La città ha bisogno di un'immagine, che le periferie e i nuovi insediamenti abbiano cioè la stessa qualità anche percettiva delle zone storiche. I nodi strategici vanno progettati in modo consapevole. Mi riferisco in particolare alle nuove porte di Firenze, quella di nord ovest e quella di sud est.

Dell'area Mercafir e del nuovo stadio tutti parlano, ma pochi sanno che nella stessa zona il Piano Strutturale prevede un altro grande intervento privato, che assume a mio parere un carattere strategico ancora più accentuato e non deve perciò passare sotto silenzio Si tratta della lottizzazione che una volta si chiamava Toscolombarda, collocata in fregio al viale Guidoni, fra la Mercafir e l'edificio Telecom. Vi si prevedono quarantamila metri quadrati di edilizia prevalentemente residenziale, che il piano "a volumi zero" ha dovuto accettare perché l'amministrazione ha perso tutti i gradi di giudizio di un contenzioso pluridecennale con i proprietari. La lottizzazione è stata dunque inserita nel Piano Strutturale: quarantamila metri quadrati, cioè qualcosa come cinquecento o seicento alloggi che, se gettati sul territorio senza regola, rappresenteranno un disastro. E necessario dunque che l'amministrazione governi bene l'attuazione dell'intervento,

dal quale possono invece scaturire ricadute positive per l'immagine della città. Mi spiego meglio. Se il comune si limitasse ad assecondare l'edificabilità privata, aggiungendo al disastrato quartiere di No-voli altri isolati residenziali collocati casualmente, si tratterebbe di una catastrofe urbanistica. Il viale Guidoni è infatti la nuova porta di Firenze, aperta sull'area metropolitana.

Già il Piano Detti, in una lungimirante visione di Firenze proiettata nella piana di Prato e di Pistoia, aveva previsto uno sviluppo lineare della città. Un asse viario attrezzato, da San Salvi a Castello, avrebbe costituito il supporto dei nuovi insediamenti, nei quali decentrare parte delle attività direzionali del centro storico. Lasse attrezzato non è mai stato realizzato, ma il decentramento previsto da Detti è avvenuto ugualmente e il viale Guidoni ne è diventato l'asse portante, con l'insediamento universitario a Novoli, con il Palazzo di Giustizia, con la sede della Cassa di Risparmio, con l'aeroporto. La linea due della tranvia diventerà l'infrastruttura di comunicazione, che legherà il nuovo polo di viale Guidoni al centro storico di Firenze e agli insediamenti della piana, primo fra tutti il polo universitario di Sesto. La tranvia prenderà dunque il posto del vecchio asse stradale di Detti: non più un'autostrada urbana, ma un sistema moderno di trasporto pubblico su rotaia.

Ebbene, l'area Toscolombarda si trova proprio al centro di quest'asse, di fronte alla sede della Cassa di Risparmio e al palazzo di Giustizia. questo il nodo in cui Firenze sta costruendo il suo nuovo volto, la porta che racchiuderà l'immagine della città per chi la raggiunge dall'esterno. Questo nodo dovrà dunque distinguersi per una forte immagine architettonica e urbana, come quella delle antiche porte medievali, come quella che Giuseppe Poggi attribuì alle piazze del suo viale di circonvallazione. Se guardate l'architettura che Giorgio Grassi ha dato alla sede della Cassa di Risparmio, vi renderete conto che egli ha ripreso l'immagine antica della città ideale rinascimentale: una quinta modulare e omogenea di facciate che implica e determina lo spazio antistante. La monumentalità del Palazzo di Giustizia di Renzo Ricci non dà vita a uno spazio urbano, semmai lo disarticola. Ma è capace di porsi come elemento monumentale e focale delle visuali per chi arriva dal viale Guidoni. Di fronte a essa, l'elegante auditorium Telecom di Giovanni Michelucci costituisce un secondo elemento di sobria monumentalità. La modularità asettica di Giorgio Grassi implica invece la realizzazione di una piazza, il cui lato opposto non potrà che avere un impianto analogo, con le facciate degli edifici allineate parallelamente a quelle di Grassi. In questa

piazza il monumento di Ricci vedrà accentuato lo slancio verticale e il carattere di pezzo unico, di solitaria e irripetibile opera d'arte; così il lato della piazza che farà da sfondo a chi arriva da fuori vedrà confrontarsi Ricci e Michelucci, le due anime opposte della scuola di architettura fiorentina: la regola aurea dell'armonia e la sregolatezza della forma fine a se stessa.

Se la grande piazza monumentale non si formasse e si lasciasse venir su la lottizzazione privata come semplice alternarsi di edifici isolati, ciascuno nel suo piccolo lotto di parcheggi e di giardinetti, come è avvenuto nel resto del quartiere, avremmo perso un'occasione irripetibile per dare un'immagine forte all'ingresso di Firenze e per costruire un cuore nel disarticolato coacervo di case che formano Novoli. Per ora l'amministrazione ha dimostrato di non aver capito nulla, perché nelle aree di sua proprietà di fronte agli edifici di Grassi ha schiaffato le casette prefabbricate in legno, da usare come volano per il recupero della case popolari di via Torre degli Agli. Dico, ma non c'era un altro posto? Si continua con la logica dell'occasionalità, della mancanza di un'idea complessiva della città? Ufficialmente si rassicura dicendo che si tratta di edifici smontabili e riposizionabili da un'altra parte, ma l'esperienza dimostra che da noi niente è più stabile e inamovibile del provvisorio. Guardate il padiglione Spadolini della Fortezza.

A sud est si sta facendo lo stesso. Passato il Galluzzo la via Senese raggiunge la città attraversando una campagna aperta, fatta di pendici collinari morbide e immerse nel verde, prive di edificazioni, delimitata al più da ottocenteschi muri in pietra. L’amministrazione vi ha progettato un parcheggio scambiatore, da collocare in un lembo di questo paesaggio antico posto fra il cimitero e la via Poccetti la quale si arrampica dalla via Senese verso le Campora. Il progetto mostra un'assoluta insensibilità verso il rispetto di un ambiente che non è mutato dall'Ottocento a oggi. Vi si prevede infatti il disassamento e una nuova canalizzazione della Senese antica per farla concludere, demolendone i muri in pietra, in una mega rotonda autostradale.

L’ingresso a Firenze ha bisogno di un progetto che non sia solo viabilistico. Quest'area non ha bisogno di riqualificazione, perché il suo pregio è già altissimo: qui si tratta di non deturpare uno scenario insostituibile. Il parcheggio può allora essere l'occasione per una piazza, nella quale la rotonda sia sostituita da un giardino centrale, che segni il passaggio dell'area aperta e ancora naturale di via Senese a quella urbana delle Due Strade. Allora la vecchia strada extraurbana potrà mantenere la sua conformazione e innestarsi senza brusche soluzioni di continuità nell'ambiente costruito. Allora il parcheggio acquisterà un senso e la sua collocazione non apparirà più occasionale.

Parlando di infrastrutture per la mobilità, sappiamo che Firenze ne ha bisogno di nuove, come il pane. Ma la loro realizzazione non deve distruggere una qualità urbana che è unica al mondo. Dal parcheggio di via Senese passiamo allora alla tranvia. Ho scritto avanti che la linea due, quella di Novoli, è necessaria e ne ho spiegato il motivo. Aggiungo anche che è prioritario prolungarla fino al Polo Scientifico e Tecnologico dell'Università a Sesto Fiorentino, dove si è formato un centro di ricerca di eccellenza. Mi riferisco ad esempio al Lens, il laboratorio europeo per la spettroscopia non lineare, dove si fanno studi sulla fisica quantistica che aprono scenari di grande portata, ma anche ad altre realtà all'avanguardia che possono costituire il nucleo di una Silicon Valley fiorentina. E indispensabile realizzare un collegamento moderno e veloce di quest'area con l'aeroporto, con la stazione dell'Alta Velocità, con il centro storico.

Se la linea due della tranvia è dunque indispensabile, della linea tre non sono così certo. Il passaggio dei due binari nel fragile e delicato tessuto di via dello Statuto sarà devastante e creerà danni non inferiori a quelli che la linea uno ha prodotto fra l'Arno e Porta al Prato. Questi sono stati infatti irreparabili: il rapporto fra il parco delle Cascine e la città è stato bruscamente interrotto, il piazzale con la statua del re Vittorio Emanuele, che costituiva la cerniera monumentale fra parco e città, è stato distrutto dalla trincea del sottopasso viario e dalla barriera di un passaggio di binari sinuoso come le spire di un serpente. Poco oltre il parco stesso è stato sventrato e tagliato in due impedendone la continuità di percorso e di fruizione, che si accompagnava anche a una lettura misterica di manufatti quali la fonte del Narciso e la piramide, che l'architetto Giuseppe Manetti aveva progettato come elementi di un parco esoterico. Nella zona dello Statuto la tranvia produrrà danni analoghi, quando si potrebbe invece collegare il polo ospedaliero di Gareggi con una linea che, seguendo il viale Morgagni e via Mariti, si innesti direttamente sul percorso principale della linea due. Ma quando anche non si volesse tornare indietro su una scelta già fatta, si eviti almeno di mettere in cantiere nello stesso tempo le due linee, bloccando e congestionando l'intero settore nord occidentale della città: ai lavori tranviari si aggiungeranno infatti anche quelli dell'Alta Velocità ferroviaria. E si preveda un indispensabile nuovo sottopasso della ferrovia da viale Cadorna, considerando che quello attuale dello Statuto verrà occupato quasi interamente dai due binari del tram.

Abbiamo parlato di territorio, di infrastrutture, di immagine urbana. Ma la città non è solo questo: essa possiede una storia, una vocazione internazionale che le viene da un passato eccezionale. Firenze non ha bisogno solo di infrastrutture e servizi, ma anche e soprattutto di ritrovare valori ed entusiasmo, di proiettare la propria immagine nel mondo, di valorizzare il patrimonio unico che le è stato tramandato dal passato. Un patrimonio che è fatto di monumenti e di dipinti, di statue e di libri, ma anche di idee e di coraggio. In un passato recente, eppure già così lontano, Firenze fu un riferimento internazionale per i costruttori di pace. Un sindaco ispirato, Giorgio La Pira, ne fece un faro per gli oppressi, un luogo di dialogo fra popoli in guerra e fra le religioni. Poi tutto è svanito nel nulla e la città si è rinchiusa in un sonnolento silenzio. Quella stagione può e deve essere rilanciata.

Tempo fa l'amico Gianni Conti mi espose un'idea. Dobbiamo realizzare, mi disse, una Casa per i diritti e le libertà dell'uomo, che sia un centro di incontro e di dialogo fra i popoli e le religioni. Dovrà essere un monumento, proseguì, sul cui progetto chiamare a concorso architetti da tutto il mondo e nel quale ospitare una nuova tribuna per il David di Michelangelo, l'opera simbolo della lotta per la libertà da ogni oppressione e da ogni aggressione. L'antico e il moderno si amalgameranno in questa nuova struttura, che potrebbe essere realizzata nel Parterre di piazza della Libertà.

Lì per lì rimasi ad ascoltarlo perplesso poi, a poco a poco nei giorni successivi, l'idea si fece strada nei miei pensieri, prendendo consistenza, finendo per affascinarmi. Ora la vedo sempre più nitida di fronte agli occhi. Il Parterre, oggi ridotto a un banale luogo per giostrine e burocrati, un tempo era l'ingresso della città sulla strada che arrivava dall'Europa. Un granduca illuminato vi costruì una nuova porta di fronte a quella duecentesca, un arco di trionfo che esaltava la volontà di spalancare una Firenze già provinciale verso il palcoscenico del mondo intero. Ho iniziato allora a immaginare questa Casa dei diritti dell'uomo elevarsi sopra la piazza, come quella terza porta di cui ebbe idea anni fa un architetto controverso ma geniale, Leonardo Ricci. Vedo un'architettura moderna e di forte connotazione simbolica dialogare con le vestigia del passato, dal giardino ottocentesco, all'arco trionfale del secolo dei lumi, alla porta dell'epoca di Dante, offrendo al mondo il volto di una città proiettata verso il futuro ma ancorata a un passato glorioso, annunciando la sua volontà di reinserirsi come protagonista e non come pigra spettatrice nella cultura europea. Vedo un faro per una cultura del dialogo, dell'accoglienza e della solidarietà

Chi verrà chiamato fra poco ad amministrare questa città, pensi anche a questo. Costituiamo una fondazione che realizzi il progetto e lo gestisca. Affidi il nuovo sindaco una delega per la Pace e il Dialogo interreligioso. Istituiamo un premio da assegnare a chi nel mondo avrà operato in queste due direzioni, come un piccolo ma prestigioso nobel tutto fiorentino. La cerimonia della consegna potrebbe avvenire sugli spalti di San Miniato al Monte, fra i marmi e le mura che testimoniano il cielo alla città sottostante. Così il messaggio di un nuovo Umanesimo partirebbe ancora una volta dalla città che ne fu culla, diffondendone l'immagine nel mondo.

Renzo Manetti, architetto urbanista