Firenze si appresta ad avere un
nuovo sindaco e un nuovo consiglio comunale. È giusto dunque fare una seria
riflessione sulle questioni aperte, che sono tante, e sulle priorità che la
nuova amministrazione dovrà porsi. Non si tratta infatti solo di asfaltare le
buche nelle strade che sono, credetemi, il problema minore, comune del resto a
tutte le grandi città italiane. Dobbiamo guardare oltre alla manutenzione
ordinaria della città, per immaginarne e costruirne il futuro. E questo futuro
dovrà esser degno del nostro passato. Ci attende una grande sfida, che la
passata amministrazione ha solo avviato. Non pretendo di esaurire tutte le
problematiche aperte, dall'aeroporto, a un nuovo centro congressi, al
potenziamento del polo espositivo, alle infrastrùtture viarie, al sistema del
verde, all'accoglienza e alla solidarietà. Intendo solo evidenziare alcune
questioni, senza pretendere che le altre siano meno importanti.
La nuova amministrazione sarà
chiamata innanzitutto ad approvare il nuovo Regolamento Urbanistico (Ruc), che
sostituirà il Piano Regolatore dell'architetto Vittorini. Questo strumento
urbanistico è attualmente all'esame della commissione consiliare, ammantato di
una segretezza che in passato non si era mai adoperata, tanto che sulla stampa
sono già sorte le polemiche: "cosa avete da nascondere?". In effetti
è ormai prassi consolidata che gli strumenti urbanistici debbano essere
elaborati con la massima trasparenza, in un rapporto costante con associazioni
e cittadini, non per cercare di mettere d'accordo tutti che sarebbe cosa
impossibile, ma per garantire il massimo della partecipazione e dell'aderenza
ai bisogni della città. La segretezza è dunque, in questa fase,
incomprensibile, capace solo di innescare inevitabili e probabilmente
immotivate dietrologie.
Il Consiglio ancora in carica
dovrà adottare il RUC, ma l'approvazione, come l'esame di tutte le
osservazioni, spetterà al consiglio che uscirà dalle urne. Non sarà cosa da
poco perché questo Regolamento si è posto la sfida di incentivare il recupero e
la riqualificazione della città, evitando di costruire su aree ancora libere.
Per questo è un Regolamento nel quale sono fondamentali le norme. Sarà proprio
qui che si misurerà la capacità dell'amministrazione: il Piano Strutturale ha
introdotto il concetto di perequazione urbanistica, di trasferimento dei vecchi
volumi dalle zone centrali a quelle periferiche, garantendo idonei incentivi.
Ma le norme per far tutto questo spettano al RUC ed è da queste che potremo
capire se siamo di fronte ad affermazioni velleitarie o di sostanza. Il rinnovo
della città passa da qui. Le norme devono essere snelle, favorire il recupero
dei complessi edilizi maggiori, ma anche e soprattutto delle case, dei
laboratori artigiani senza i quali il centro storico perde la sua identità. Si
deve garantire non solo l'involucro edilizio, ma che questo sia adeguato alle
necessità del tessuto sociale. Norme snelle dunque, facili da comprendere e da
attuare, non pignole, che non pretendano di entrare nei dettagli minuti, che
lascino vivere e respirare la città.
Ma il RUC non può essere solo
questo, non deve essere fatto solo di numeri e di indici, di superfici e
volumi. La pianificazione dei numeri ha fatto il suo tempo e ha mostrato tutti
i suoi limiti, la sua incapacità di gestire la qualità della vita. La città ha
bisogno di un'immagine, che le periferie e i nuovi insediamenti abbiano cioè la
stessa qualità anche percettiva delle zone storiche. I nodi strategici vanno
progettati in modo consapevole. Mi riferisco in particolare alle nuove porte di
Firenze, quella di nord ovest e quella di sud est.
Dell'area Mercafir e del nuovo
stadio tutti parlano, ma pochi sanno che nella stessa zona il Piano Strutturale
prevede un altro grande intervento privato, che assume a mio parere un carattere
strategico ancora più accentuato e non deve perciò passare sotto silenzio Si
tratta della lottizzazione che una volta si chiamava Toscolombarda, collocata
in fregio al viale Guidoni, fra la Mercafir e l'edificio Telecom. Vi si
prevedono quarantamila metri quadrati di edilizia prevalentemente residenziale,
che il piano "a volumi zero" ha dovuto accettare perché
l'amministrazione ha perso tutti i gradi di giudizio di un contenzioso
pluridecennale con i proprietari. La lottizzazione è stata dunque inserita nel
Piano Strutturale: quarantamila metri quadrati, cioè qualcosa come cinquecento
o seicento alloggi che, se gettati sul territorio senza regola,
rappresenteranno un disastro. E necessario dunque che l'amministrazione governi
bene l'attuazione dell'intervento,
dal quale possono invece
scaturire ricadute positive per l'immagine della città. Mi spiego meglio. Se il
comune si limitasse ad assecondare l'edificabilità privata, aggiungendo al
disastrato quartiere di No-voli altri isolati residenziali collocati casualmente,
si tratterebbe di una catastrofe urbanistica. Il viale Guidoni è infatti la
nuova porta di Firenze, aperta sull'area metropolitana.
Già il Piano Detti, in una
lungimirante visione di Firenze proiettata nella piana di Prato e di Pistoia,
aveva previsto uno sviluppo lineare della città. Un asse viario attrezzato, da
San Salvi a Castello, avrebbe costituito il supporto dei nuovi insediamenti,
nei quali decentrare parte delle attività direzionali del centro storico. Lasse
attrezzato non è mai stato realizzato, ma il decentramento previsto da Detti è
avvenuto ugualmente e il viale Guidoni ne è diventato l'asse portante, con
l'insediamento universitario a Novoli, con il Palazzo di Giustizia, con la sede
della Cassa di Risparmio, con l'aeroporto. La linea due della tranvia diventerà
l'infrastruttura di comunicazione, che legherà il nuovo polo di viale Guidoni
al centro storico di Firenze e agli insediamenti della piana, primo fra tutti
il polo universitario di Sesto. La tranvia prenderà dunque il posto del vecchio
asse stradale di Detti: non più un'autostrada urbana, ma un sistema moderno di
trasporto pubblico su rotaia.
Ebbene, l'area Toscolombarda si
trova proprio al centro di quest'asse, di fronte alla sede della Cassa di
Risparmio e al palazzo di Giustizia. questo il nodo in cui Firenze sta
costruendo il suo nuovo volto, la porta che racchiuderà l'immagine della città
per chi la raggiunge dall'esterno. Questo nodo dovrà dunque distinguersi per
una forte immagine architettonica e urbana, come quella delle antiche porte
medievali, come quella che Giuseppe Poggi attribuì alle piazze del suo viale di
circonvallazione. Se guardate l'architettura che Giorgio Grassi ha dato alla
sede della Cassa di Risparmio, vi renderete conto che egli ha ripreso
l'immagine antica della città ideale rinascimentale: una quinta modulare e
omogenea di facciate che implica e determina lo spazio antistante. La
monumentalità del Palazzo di Giustizia di Renzo Ricci non dà vita a uno spazio
urbano, semmai lo disarticola. Ma è capace di porsi come elemento monumentale e
focale delle visuali per chi arriva dal viale Guidoni. Di fronte a essa,
l'elegante auditorium Telecom di Giovanni Michelucci costituisce un secondo
elemento di sobria monumentalità. La modularità asettica di Giorgio Grassi
implica invece la realizzazione di una piazza, il cui lato opposto non potrà
che avere un impianto analogo, con le facciate degli edifici allineate
parallelamente a quelle di Grassi. In questa
piazza il monumento di Ricci
vedrà accentuato lo slancio verticale e il carattere di pezzo unico, di
solitaria e irripetibile opera d'arte; così il lato della piazza che farà da
sfondo a chi arriva da fuori vedrà confrontarsi Ricci e Michelucci, le due
anime opposte della scuola di architettura fiorentina: la regola aurea
dell'armonia e la sregolatezza della forma fine a se stessa.
Se la grande piazza monumentale
non si formasse e si lasciasse venir su la lottizzazione privata come semplice
alternarsi di edifici isolati, ciascuno nel suo piccolo lotto di parcheggi e di
giardinetti, come è avvenuto nel resto del quartiere, avremmo perso
un'occasione irripetibile per dare un'immagine forte all'ingresso di Firenze e
per costruire un cuore nel disarticolato coacervo di case che formano Novoli.
Per ora l'amministrazione ha dimostrato di non aver capito nulla, perché nelle
aree di sua proprietà di fronte agli edifici di Grassi ha schiaffato le casette
prefabbricate in legno, da usare come volano per il recupero della case
popolari di via Torre degli Agli. Dico, ma non c'era un altro posto? Si
continua con la logica dell'occasionalità, della mancanza di un'idea
complessiva della città? Ufficialmente si rassicura dicendo che si tratta di
edifici smontabili e riposizionabili da un'altra parte, ma l'esperienza
dimostra che da noi niente è più stabile e inamovibile del provvisorio.
Guardate il padiglione Spadolini della Fortezza.
A sud est si sta facendo lo
stesso. Passato il Galluzzo la via Senese raggiunge la città attraversando una
campagna aperta, fatta di pendici collinari morbide e immerse nel verde, prive
di edificazioni, delimitata al più da ottocenteschi muri in pietra.
L’amministrazione vi ha progettato un parcheggio scambiatore, da collocare in
un lembo di questo paesaggio antico posto fra il cimitero e la via Poccetti la
quale si arrampica dalla via Senese verso le Campora. Il progetto mostra
un'assoluta insensibilità verso il rispetto di un ambiente che non è mutato
dall'Ottocento a oggi. Vi si prevede infatti il disassamento e una nuova
canalizzazione della Senese antica per farla concludere, demolendone i muri in
pietra, in una mega rotonda autostradale.
L’ingresso a Firenze ha bisogno
di un progetto che non sia solo viabilistico. Quest'area non ha bisogno di
riqualificazione, perché il suo pregio è già altissimo: qui si tratta di non
deturpare uno scenario insostituibile. Il parcheggio può allora essere
l'occasione per una piazza, nella quale la rotonda sia sostituita da un
giardino centrale, che segni il passaggio dell'area aperta e ancora naturale di
via Senese a quella urbana delle Due Strade. Allora la vecchia strada
extraurbana potrà mantenere la sua conformazione e innestarsi senza brusche
soluzioni di continuità nell'ambiente costruito. Allora il parcheggio
acquisterà un senso e la sua collocazione non apparirà più occasionale.
Parlando di infrastrutture per la
mobilità, sappiamo che Firenze ne ha bisogno di nuove, come il pane. Ma la loro
realizzazione non deve distruggere una qualità urbana
che è unica al mondo. Dal parcheggio di via Senese passiamo allora alla
tranvia. Ho scritto avanti che la linea due, quella di Novoli, è necessaria e
ne ho spiegato il motivo. Aggiungo anche che è prioritario prolungarla fino al
Polo Scientifico e Tecnologico dell'Università a Sesto Fiorentino, dove si è
formato un centro di ricerca di eccellenza. Mi riferisco ad esempio al Lens, il
laboratorio europeo per la spettroscopia non lineare, dove si fanno studi sulla
fisica quantistica che aprono scenari di grande portata, ma anche ad altre
realtà all'avanguardia che possono costituire il nucleo di una Silicon Valley
fiorentina. E indispensabile realizzare un collegamento moderno e veloce di
quest'area con l'aeroporto, con la stazione dell'Alta Velocità, con il centro
storico.
Se la linea due della tranvia è
dunque indispensabile, della linea tre non sono così certo. Il passaggio dei
due binari nel fragile e delicato tessuto di via dello Statuto sarà devastante
e creerà danni non inferiori a quelli che la linea uno ha prodotto fra l'Arno e
Porta al Prato. Questi sono stati infatti irreparabili: il rapporto fra il
parco delle Cascine e la città è stato bruscamente interrotto, il piazzale con
la statua del re Vittorio Emanuele, che costituiva la cerniera monumentale fra
parco e città, è stato distrutto dalla trincea del sottopasso viario e dalla
barriera di un passaggio di binari sinuoso come le spire di un serpente. Poco
oltre il parco stesso è stato sventrato e tagliato in due impedendone la
continuità di percorso e di fruizione, che si accompagnava anche a una lettura
misterica di manufatti quali la fonte del Narciso e la piramide, che
l'architetto Giuseppe Manetti aveva progettato come elementi di un parco
esoterico. Nella zona dello Statuto la tranvia produrrà danni analoghi, quando
si potrebbe invece collegare il polo ospedaliero di Gareggi con una linea che,
seguendo il viale Morgagni e via Mariti, si innesti direttamente sul percorso
principale della linea due. Ma quando anche non si volesse tornare indietro su
una scelta già fatta, si eviti almeno di mettere in cantiere nello stesso tempo
le due linee, bloccando e congestionando l'intero settore nord occidentale
della città: ai lavori tranviari si aggiungeranno infatti anche quelli
dell'Alta Velocità ferroviaria. E si preveda un indispensabile nuovo sottopasso
della ferrovia da viale Cadorna, considerando che quello attuale dello Statuto
verrà occupato quasi interamente dai due binari del tram.
Abbiamo parlato di territorio, di
infrastrutture, di immagine urbana. Ma la città non è solo questo: essa
possiede una storia, una vocazione internazionale che le viene da un passato
eccezionale. Firenze non ha bisogno solo di infrastrutture e servizi, ma anche
e soprattutto di ritrovare valori ed entusiasmo, di proiettare la propria
immagine nel mondo, di valorizzare il patrimonio unico che le è stato
tramandato dal passato. Un patrimonio che è fatto di monumenti e di dipinti, di
statue e di libri, ma anche di idee e di coraggio. In un passato recente,
eppure già così lontano, Firenze fu un riferimento internazionale per i
costruttori di pace. Un sindaco ispirato, Giorgio La Pira, ne fece un faro per
gli oppressi, un luogo di dialogo fra popoli in guerra e fra le religioni. Poi
tutto è svanito nel nulla e la città si è rinchiusa in un sonnolento silenzio.
Quella stagione può e deve essere rilanciata.
Tempo fa l'amico Gianni Conti mi
espose un'idea. Dobbiamo realizzare, mi disse, una Casa per i diritti e le
libertà dell'uomo, che sia un centro di incontro e di dialogo fra i popoli e le
religioni. Dovrà essere un monumento, proseguì, sul cui progetto chiamare a
concorso architetti da tutto il mondo e nel quale ospitare una nuova tribuna
per il David di Michelangelo, l'opera simbolo della lotta per la libertà da
ogni oppressione e da ogni aggressione. L'antico e il moderno si amalgameranno
in questa nuova struttura, che potrebbe essere realizzata nel Parterre di
piazza della Libertà.
Lì per lì rimasi ad ascoltarlo
perplesso poi, a poco a poco nei giorni successivi, l'idea si fece strada nei
miei pensieri, prendendo consistenza, finendo per affascinarmi. Ora la vedo
sempre più nitida di fronte agli occhi. Il Parterre, oggi ridotto a un banale
luogo per giostrine e burocrati, un tempo era l'ingresso della città sulla
strada che arrivava dall'Europa. Un granduca illuminato vi costruì una nuova
porta di fronte a quella duecentesca, un arco di trionfo che esaltava la
volontà di spalancare una Firenze già provinciale verso il palcoscenico del
mondo intero. Ho iniziato allora a immaginare questa Casa dei diritti dell'uomo
elevarsi sopra la piazza, come quella terza porta di cui ebbe idea anni fa un
architetto controverso ma geniale, Leonardo Ricci. Vedo un'architettura moderna
e di forte connotazione simbolica dialogare con le vestigia del passato, dal
giardino ottocentesco, all'arco trionfale del secolo dei lumi, alla porta
dell'epoca di Dante, offrendo al mondo il volto di una città proiettata verso
il futuro ma ancorata a un passato glorioso, annunciando la sua volontà di
reinserirsi come protagonista e non come pigra spettatrice nella cultura
europea. Vedo un faro per una cultura del dialogo, dell'accoglienza e della
solidarietà
Chi verrà chiamato fra poco ad
amministrare questa città, pensi anche a questo. Costituiamo una fondazione che
realizzi il progetto e lo gestisca. Affidi il nuovo sindaco una delega per la
Pace e il Dialogo interreligioso.
Istituiamo un premio da assegnare a chi nel mondo
avrà operato in queste due direzioni, come un piccolo ma prestigioso nobel
tutto fiorentino. La cerimonia della consegna potrebbe avvenire sugli spalti di San Miniato
al Monte, fra i marmi e le mura che testimoniano il cielo alla città
sottostante. Così il messaggio di un nuovo Umanesimo partirebbe ancora una
volta dalla città che ne fu culla, diffondendone
l'immagine nel mondo.
Renzo Manetti, architetto
urbanista