venerdì 31 ottobre 2014

DEMOCRAZIA SOGNO PROIBITO O REALTA' OPERANTE ? '

DEMOCRAZIA:
SOGNO PROIBITO O REALTÀ OPERANTE?
di Delfo Del Bino
Tutto mi aspettavo, ma non di essere costretto a constatare che nel terzo millennio, alla fine del funesto «secolo breve» ci fosse ancora tanta incertezza interpretativa sul reggimento politico di una nazione, universalmente conosciuto col nome di Democrazia. Tornando a riflettere sul pensiero di uno tra i primi intellettuali che si sono interessati di questa forma di governo, cito nuovamente Ale¬xis de Tocqueville e il suo primo taccuino, La democrazia in Ameri¬ca. Orbene, detto autore paventa il pericolo che alla dittatura impo¬sta da una persona fisica, se ne possa sostituire un'altra non meno per¬niciosa, la dittatura della maggioranza da lui minacciosamente indicata quale «tirannide della maggioranza».
E qualcosa di più di un dubbio, sicché a tal proposito scrive: «Io con¬sidero empia e detestabile questa massima, secondo la quale, in ma¬teria di governo la maggioranza di un popolo ha il diritto di far tut¬to. Nondimeno, pongo nella volontà della maggioranza l'origine di tutti i poteri. Sono forse in contraddizione con me stesso?».
Il nostro Alexis sembra turbato da un dilemma: per un verso trova corretto che le decisioni di vertice siano conseguenza di una volontà, quella della maggioranza; per un altro verso, ritiene non sia lecito che "tutti" i poteri debbano trarre unica origine nella volontà della mag¬gioranza. Esemplificando - era un esempio venutomi in mente quan¬do appoggiato sulla spalletta dell'Arno, conversavo con un amico - se cinque amici attraversano l'Arno sul Ponte Vecchio e, a un certo punto, quattro di essi decidono di prendere il quinto, sollevarlo e get¬tarlo nel fiume, compiono un atto che, sotto il profilo della demo¬crazia dei numeri, non fa una piega, ma è del tutto inaccettabile sot¬to quello della correttezza sostanziale. Ciò significa che la democra¬zia non può limitarsi a essere un problema di maggioranze e di minoranze, ma anche e soprattutto di correttezza e di giustizia so¬stanziali. In altre parole non basta che le decisioni siano assunte dal¬la maggioranza espressa attraverso una votazione, ma è necessario che quanto viene votato non leda i principi di equità e di giustizia indi¬cati dalla legge.
Sintetizzando: una società per aspirare a essere considerata autenti-camente democratica, prima di tutto deve essere una società giusta nei diritti e nei doveri dei suoi cittadini.
Proprio per tali considerazioni il nostro Alexis de Tocqueville viene assalito da forti dubbi. Ai quali reagisce subito dopo, tanto che al suo scritto aggiunge: «Esiste una legge generale che è stata fatta, o perlo¬meno è stata adottata, non solo dalla maggioranza di questo o quel popolo, ma dalla maggioranza di tutti gli uomini: questa legge è la Giustizia».
Tocqueville ripone quindi nella Giustizia, ovvero nelle leggi dello Sta¬to, il punto di equilibrio in grado di impedire che la maggioranza, qualsiasi maggioranza, possa trasformarsi in tirannide.
Cos'era la Giustizia da lui invocata quale uomo dell'immediato pe-riodo post rivoluzionario e post napoleonico, se non quel complesso di regole in cima alle quali sta il trinomio che le sintetizza e ci am¬monisce, ovvero quella combinazione di valori che ne esprime la sin¬tesi? La Libertà, l'Uguaglianza e la Fraternità a suo tempo in gran par¬te raccolti in quel documento che il 16 agosto 1789, fu approvato dal¬l'Assemblea nazionale francese sotto il tiolo di Diritti dell'Uomo e del Cittadino. Si tratta di valori universali, ed è da questi valori che derivano, scritti in un modo o in altro, alcune regole auree. Inseri¬sco, a mo' di esempio, l'articolo z e 3 della Costituzione della Re¬pubblica Italiana:
Art. z: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili del¬l'uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
Art. : «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali da-vanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di reli¬gione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali».
Che la democrazia del numero non costituisse titolo sufficiente on-de uno Stato fosse dichiarato democratico, era già stato provato dal fatto che al numero hanno fatto ricorso un po' tutti, ivi compreso il totalitarismo fascista il quale, nel suo Gran Consiglio, metteva in evi

denza proprio i numeri, tanto che, a causa dei numeri, il 25 luglio del
1943 pose fuori corso nientemeno che il suo duce, da oltre venti an
ni suo capo carismatico.
Stabilito così che la democrazia del numero, altro non è che derno
crazia apparente e non sostanziale, tendenzialmente portata a tra
sformarsi in tirannia della maggioranza, a maggior ragione non può
essere accettato che tale forma di tirannia venga fatta propria dalla
minoranza.
Se per ovviare alla tirannide della maggioranza è necessario ricorrere
alle leggi che hanno da essere giuste, come si possono comprendere
fatti clamorosi quale quello di una minoranza che, per impedire le
procedure parlamentari poste in essere dalla maggioranza, ricorre al
l'ostruzionismo sottoponendo alla Presidenza del Parlamento nien
temeno che - cento più, cento meno - ben ottomila proposte di
emendamento?
Se non è giusto che la maggioranza possa trasformarsi in tirannide, è
giusto che le sue legittime attese debbano essere frustrate da mano
vre ostruzionistiche che impediscano al Parlamento di svolgere i pro
pri lavori e alla maggioranza di svolgere il proprio mestiere?
L’interrogativo è aperto e attuale: attende una risposta, alla luce dei concetti e degli aggettivi più recentemente formulati e attribuiti al sostantivo Democrazia. Infatti per Democrazia non deve intendersi solo e unicamente quella forma di governo in grado di sostituire i protagonisti della politica in modo pacifico) in base all'aggiorna¬mento dei meccanismi procedurali, ma anche per il clima di reci¬proco rispetto nel quale le battaglie politiche si svolgono. Un clima che esclude il ricorso a qualsiasi atto di violenza rivoluzionaria.
Non si deve intendere cioè - come si è visto in precedenza - nem¬meno quella forma di governo in cui la maggioranza è legittimata a fare tutto quello che vuole, con ciò trasformando il governo stesso in una vera e propria dittatura della maggioranza.
I pericoli in tal senso sono molti. Nelle democrazie dei nostri tempi, molte sono le scelte che pretendono conoscenze approfondite e con¬sapevoli degli argomenti in discussione, tanto da non essere alla por¬tata di gran parte degli elettori di base. Appare pertanto giusto che si ponga rimedio mediante una delega da affidare a colui o coloro che sono esperti dei particolari problemi e, allo stesso tempo, godano del¬la fiducia degli elettori di base. Se tutto ciò appare corretto, il Parla¬mento dovrebbe essere composto di delegati che godono la fiducia di tutto il corpo elettorale. Assai minore è la legittimità della pretesa di escludere dalla scelta dei propri rappresentanti il contributo dell'e¬lettore di base, ovvero di colui che lo dovrà sostituire in Parlamento e proprio nelle scelte pii difficili. Non ho difficoltà a considerare una tale imposizione un vero e proprio attentato alla Democrazia. Spia¬ce che alcuni partiti, ma soprattutto alcuni uomini politici, assuma¬no atteggiamenti tanto sventuratamente negativi. Qualcuno dirà che ciò viene obbligatoriamente fatto proprio quando la sua accettazio¬ne sia divenuta condizione necessaria per dare attuazione alla forma¬zione di una maggioranza che consenta di mettere in moto i mecca¬nismi decisionali di una democrazia. La quale. viene, a quanto pare, apprezzata pii per la capacità di essere attiva, piuttosto che per il se¬gno politico della sua attività.
In questo sventurato caso vi è di mezzo una situazione che pone il nostro Paese di fronte a un guado sul quale spirano venti violenti di crisi che non lasciano intravedere tempi di quiete. Voglio solo spera¬re che la maggioranza oggi in formazione abbia la fortuna di atte-nuare la forza di tali venti di crisi e che il Paese possa riprendere il proprio cammino con a fianco una classe politica all'altezza dell'in¬telligente operosità dei propri abitanti.
Delfo Del Bino, architetto

venerdì 26 settembre 2014

SEMINARIO SABATO 11 OTTOBRE

Gli interessati al Seminario possono iscriversi comunicando tramite e-mail all'indirizzo firenzemagnifica@gmail.com, indicando: 
nome, cognome, indirizzo e-mail  personale.
Agli/alle insegnanti saranno rilasciati gli attestati
di partecipazione per ottenere i crediti formativi.

Riceverete conferma dell'avvenuta iscrizione.
Per motivi di sicurezza la capienza della Sala è di 50
persone, siamo dunque spiacenti qualora non
potessimo accettare la vostra iscrizione.

Qui sotto potete trovare il link per il manifestino
del Seminario.

https://drive.google.com/file/d/0B6zIKlQOFZkBUVVBMUJvQVdySU9icTBrX3BqbjNSdHNERDYw/edit?usp=sharing

sabato 20 settembre 2014

COMUNICAZIONE URGENTE

 COMUNICAZIONE URGENTE

SEMINARIO DI SABATO 11 OTTOBRE 2014 – PALAZZO VECCHIO – Sala delle Miniature

Il regolamento sulle norme di sicurezza del Comune di Firenze prevede l’ingresso INDEROGABILE di sole 50 (cinquanta) persone nella SALA DELLE MINIATURE (denominata anche Sala di Firenze Capitale).
La comunicazione, giuntaci tardivamente, ci costringe nostro malgrado a contenere le numerose iscrizioni.
A tal fine Vi preghiamo di inviarci con urgenza la Vostra conferma di presenza solo via E-MAIL entro e non oltre GIOVEDI’ 25 settembre 2014:

selezioneremo i partecipati in base a giorno e ora di arrivo della conferma, nel limite sopra citato.

Vista la scarsità dei posti disponibili, chi conferma è pregato di essere presente, in modo da non precludere ad altri interessati la partecipazione.

Solo chi, con nostro enorme dispiacere, risulterà escluso, ne riceverà la comunicazione a mezzo E-MAIL.


Cordiali saluti,
Gioietta Del Bianco Pietroniro – Vicepresidente Ass. Firenze Magnifica, responsabile settore scuola.

venerdì 12 settembre 2014

SEMINARIO 11 OTTOBRE 2014 - COMUNICAZIONE IMPORTANTE

SEMINARIO OTTOBRE - COMUNICAZIONE IMPORTANTE

Buonasera,


Vi comunichiamo che  il quinto ed ultimo incontro dell'anno 2014, tenuto dalla prof. sa Margherita Bellandi, dal titolo

"Alfabetizzazione funzionale di base: le competenze della scuola",

si terrà dalle ore 8:45 alle ore 13:00 circa,
il giorno sabato 11 ottobre,
con sede in Palazzo Vecchio, presso la Sala delle Miniature,
nota anche come Sala di Firenze Capitale.

Si confermano tutte le iscrizioni pervenute e si ricorda che, come nelle altre occasioni, sarà rilasciato l'attestato di partecipazione.

La Direzione di Firenze Magnifica si scusa per il disagio arrecatoVi (l'assegnazione della sala ha comportato anche uno slittamento della data).

In attesa di incontrarVi, Vi porge Cordiali Saluti.

lunedì 23 giugno 2014

LA NUOVA PORTA DI FIRENZE E L'AREA METROPOLITANA di Renzo Manetti


Firenze si appresta ad avere un nuovo sindaco e un nuovo consiglio comunale. È giusto dunque fare una seria riflessione sulle questioni aperte, che sono tante, e sulle priorità che la nuova amministrazione dovrà porsi. Non si tratta infatti solo di asfaltare le buche nelle strade che sono, credetemi, il problema minore, comune del resto a tutte le grandi città italiane. Dobbiamo guardare oltre alla manutenzione ordinaria della città, per immaginarne e costruirne il futuro. E questo futuro dovrà esser degno del nostro passato. Ci attende una grande sfida, che la passata amministrazione ha solo avviato. Non pretendo di esaurire tutte le problematiche aperte, dall'aeroporto, a un nuovo centro congressi, al potenziamento del polo espositivo, alle infrastrùtture viarie, al sistema del verde, all'accoglienza e alla solidarietà. Intendo solo evidenziare alcune questioni, senza pretendere che le altre siano meno importanti.

La nuova amministrazione sarà chiamata innanzitutto ad approvare il nuovo Regolamento Urbanistico (Ruc), che sostituirà il Piano Regolatore dell'architetto Vittorini. Questo strumento urbanistico è attualmente all'esame della commissione consiliare, ammantato di una segretezza che in passato non si era mai adoperata, tanto che sulla stampa sono già sorte le polemiche: "cosa avete da nascondere?". In effetti è ormai prassi consolidata che gli strumenti urbanistici debbano essere elaborati con la massima trasparenza, in un rapporto costante con associazioni e cittadini, non per cercare di mettere d'accordo tutti che sarebbe cosa impossibile, ma per garantire il massimo della partecipazione e dell'aderenza ai bisogni della città. La segretezza è dunque, in questa fase, incomprensibile, capace solo di innescare inevitabili e probabilmente immotivate dietrologie.

Il Consiglio ancora in carica dovrà adottare il RUC, ma l'approvazione, come l'esame di tutte le osservazioni, spetterà al consiglio che uscirà dalle urne. Non sarà cosa da poco perché questo Regolamento si è posto la sfida di incentivare il recupero e la riqualificazione della città, evitando di costruire su aree ancora libere. Per questo è un Regolamento nel quale sono fondamentali le norme. Sarà proprio qui che si misurerà la capacità dell'amministrazione: il Piano Strutturale ha introdotto il concetto di perequazione urbanistica, di trasferimento dei vecchi volumi dalle zone centrali a quelle periferiche, garantendo idonei incentivi. Ma le norme per far tutto questo spettano al RUC ed è da queste che potremo capire se siamo di fronte ad affermazioni velleitarie o di sostanza. Il rinnovo della città passa da qui. Le norme devono essere snelle, favorire il recupero dei complessi edilizi maggiori, ma anche e soprattutto delle case, dei laboratori artigiani senza i quali il centro storico perde la sua identità. Si deve garantire non solo l'involucro edilizio, ma che questo sia adeguato alle necessità del tessuto sociale. Norme snelle dunque, facili da comprendere e da attuare, non pignole, che non pretendano di entrare nei dettagli minuti, che lascino vivere e respirare la città.

Ma il RUC non può essere solo questo, non deve essere fatto solo di numeri e di indici, di superfici e volumi. La pianificazione dei numeri ha fatto il suo tempo e ha mostrato tutti i suoi limiti, la sua incapacità di gestire la qualità della vita. La città ha bisogno di un'immagine, che le periferie e i nuovi insediamenti abbiano cioè la stessa qualità anche percettiva delle zone storiche. I nodi strategici vanno progettati in modo consapevole. Mi riferisco in particolare alle nuove porte di Firenze, quella di nord ovest e quella di sud est.

Dell'area Mercafir e del nuovo stadio tutti parlano, ma pochi sanno che nella stessa zona il Piano Strutturale prevede un altro grande intervento privato, che assume a mio parere un carattere strategico ancora più accentuato e non deve perciò passare sotto silenzio Si tratta della lottizzazione che una volta si chiamava Toscolombarda, collocata in fregio al viale Guidoni, fra la Mercafir e l'edificio Telecom. Vi si prevedono quarantamila metri quadrati di edilizia prevalentemente residenziale, che il piano "a volumi zero" ha dovuto accettare perché l'amministrazione ha perso tutti i gradi di giudizio di un contenzioso pluridecennale con i proprietari. La lottizzazione è stata dunque inserita nel Piano Strutturale: quarantamila metri quadrati, cioè qualcosa come cinquecento o seicento alloggi che, se gettati sul territorio senza regola, rappresenteranno un disastro. E necessario dunque che l'amministrazione governi bene l'attuazione dell'intervento,

dal quale possono invece scaturire ricadute positive per l'immagine della città. Mi spiego meglio. Se il comune si limitasse ad assecondare l'edificabilità privata, aggiungendo al disastrato quartiere di No-voli altri isolati residenziali collocati casualmente, si tratterebbe di una catastrofe urbanistica. Il viale Guidoni è infatti la nuova porta di Firenze, aperta sull'area metropolitana.

Già il Piano Detti, in una lungimirante visione di Firenze proiettata nella piana di Prato e di Pistoia, aveva previsto uno sviluppo lineare della città. Un asse viario attrezzato, da San Salvi a Castello, avrebbe costituito il supporto dei nuovi insediamenti, nei quali decentrare parte delle attività direzionali del centro storico. Lasse attrezzato non è mai stato realizzato, ma il decentramento previsto da Detti è avvenuto ugualmente e il viale Guidoni ne è diventato l'asse portante, con l'insediamento universitario a Novoli, con il Palazzo di Giustizia, con la sede della Cassa di Risparmio, con l'aeroporto. La linea due della tranvia diventerà l'infrastruttura di comunicazione, che legherà il nuovo polo di viale Guidoni al centro storico di Firenze e agli insediamenti della piana, primo fra tutti il polo universitario di Sesto. La tranvia prenderà dunque il posto del vecchio asse stradale di Detti: non più un'autostrada urbana, ma un sistema moderno di trasporto pubblico su rotaia.

Ebbene, l'area Toscolombarda si trova proprio al centro di quest'asse, di fronte alla sede della Cassa di Risparmio e al palazzo di Giustizia. questo il nodo in cui Firenze sta costruendo il suo nuovo volto, la porta che racchiuderà l'immagine della città per chi la raggiunge dall'esterno. Questo nodo dovrà dunque distinguersi per una forte immagine architettonica e urbana, come quella delle antiche porte medievali, come quella che Giuseppe Poggi attribuì alle piazze del suo viale di circonvallazione. Se guardate l'architettura che Giorgio Grassi ha dato alla sede della Cassa di Risparmio, vi renderete conto che egli ha ripreso l'immagine antica della città ideale rinascimentale: una quinta modulare e omogenea di facciate che implica e determina lo spazio antistante. La monumentalità del Palazzo di Giustizia di Renzo Ricci non dà vita a uno spazio urbano, semmai lo disarticola. Ma è capace di porsi come elemento monumentale e focale delle visuali per chi arriva dal viale Guidoni. Di fronte a essa, l'elegante auditorium Telecom di Giovanni Michelucci costituisce un secondo elemento di sobria monumentalità. La modularità asettica di Giorgio Grassi implica invece la realizzazione di una piazza, il cui lato opposto non potrà che avere un impianto analogo, con le facciate degli edifici allineate parallelamente a quelle di Grassi. In questa

piazza il monumento di Ricci vedrà accentuato lo slancio verticale e il carattere di pezzo unico, di solitaria e irripetibile opera d'arte; così il lato della piazza che farà da sfondo a chi arriva da fuori vedrà confrontarsi Ricci e Michelucci, le due anime opposte della scuola di architettura fiorentina: la regola aurea dell'armonia e la sregolatezza della forma fine a se stessa.

Se la grande piazza monumentale non si formasse e si lasciasse venir su la lottizzazione privata come semplice alternarsi di edifici isolati, ciascuno nel suo piccolo lotto di parcheggi e di giardinetti, come è avvenuto nel resto del quartiere, avremmo perso un'occasione irripetibile per dare un'immagine forte all'ingresso di Firenze e per costruire un cuore nel disarticolato coacervo di case che formano Novoli. Per ora l'amministrazione ha dimostrato di non aver capito nulla, perché nelle aree di sua proprietà di fronte agli edifici di Grassi ha schiaffato le casette prefabbricate in legno, da usare come volano per il recupero della case popolari di via Torre degli Agli. Dico, ma non c'era un altro posto? Si continua con la logica dell'occasionalità, della mancanza di un'idea complessiva della città? Ufficialmente si rassicura dicendo che si tratta di edifici smontabili e riposizionabili da un'altra parte, ma l'esperienza dimostra che da noi niente è più stabile e inamovibile del provvisorio. Guardate il padiglione Spadolini della Fortezza.

A sud est si sta facendo lo stesso. Passato il Galluzzo la via Senese raggiunge la città attraversando una campagna aperta, fatta di pendici collinari morbide e immerse nel verde, prive di edificazioni, delimitata al più da ottocenteschi muri in pietra. L’amministrazione vi ha progettato un parcheggio scambiatore, da collocare in un lembo di questo paesaggio antico posto fra il cimitero e la via Poccetti la quale si arrampica dalla via Senese verso le Campora. Il progetto mostra un'assoluta insensibilità verso il rispetto di un ambiente che non è mutato dall'Ottocento a oggi. Vi si prevede infatti il disassamento e una nuova canalizzazione della Senese antica per farla concludere, demolendone i muri in pietra, in una mega rotonda autostradale.

L’ingresso a Firenze ha bisogno di un progetto che non sia solo viabilistico. Quest'area non ha bisogno di riqualificazione, perché il suo pregio è già altissimo: qui si tratta di non deturpare uno scenario insostituibile. Il parcheggio può allora essere l'occasione per una piazza, nella quale la rotonda sia sostituita da un giardino centrale, che segni il passaggio dell'area aperta e ancora naturale di via Senese a quella urbana delle Due Strade. Allora la vecchia strada extraurbana potrà mantenere la sua conformazione e innestarsi senza brusche soluzioni di continuità nell'ambiente costruito. Allora il parcheggio acquisterà un senso e la sua collocazione non apparirà più occasionale.

Parlando di infrastrutture per la mobilità, sappiamo che Firenze ne ha bisogno di nuove, come il pane. Ma la loro realizzazione non deve distruggere una qualità urbana che è unica al mondo. Dal parcheggio di via Senese passiamo allora alla tranvia. Ho scritto avanti che la linea due, quella di Novoli, è necessaria e ne ho spiegato il motivo. Aggiungo anche che è prioritario prolungarla fino al Polo Scientifico e Tecnologico dell'Università a Sesto Fiorentino, dove si è formato un centro di ricerca di eccellenza. Mi riferisco ad esempio al Lens, il laboratorio europeo per la spettroscopia non lineare, dove si fanno studi sulla fisica quantistica che aprono scenari di grande portata, ma anche ad altre realtà all'avanguardia che possono costituire il nucleo di una Silicon Valley fiorentina. E indispensabile realizzare un collegamento moderno e veloce di quest'area con l'aeroporto, con la stazione dell'Alta Velocità, con il centro storico.

Se la linea due della tranvia è dunque indispensabile, della linea tre non sono così certo. Il passaggio dei due binari nel fragile e delicato tessuto di via dello Statuto sarà devastante e creerà danni non inferiori a quelli che la linea uno ha prodotto fra l'Arno e Porta al Prato. Questi sono stati infatti irreparabili: il rapporto fra il parco delle Cascine e la città è stato bruscamente interrotto, il piazzale con la statua del re Vittorio Emanuele, che costituiva la cerniera monumentale fra parco e città, è stato distrutto dalla trincea del sottopasso viario e dalla barriera di un passaggio di binari sinuoso come le spire di un serpente. Poco oltre il parco stesso è stato sventrato e tagliato in due impedendone la continuità di percorso e di fruizione, che si accompagnava anche a una lettura misterica di manufatti quali la fonte del Narciso e la piramide, che l'architetto Giuseppe Manetti aveva progettato come elementi di un parco esoterico. Nella zona dello Statuto la tranvia produrrà danni analoghi, quando si potrebbe invece collegare il polo ospedaliero di Gareggi con una linea che, seguendo il viale Morgagni e via Mariti, si innesti direttamente sul percorso principale della linea due. Ma quando anche non si volesse tornare indietro su una scelta già fatta, si eviti almeno di mettere in cantiere nello stesso tempo le due linee, bloccando e congestionando l'intero settore nord occidentale della città: ai lavori tranviari si aggiungeranno infatti anche quelli dell'Alta Velocità ferroviaria. E si preveda un indispensabile nuovo sottopasso della ferrovia da viale Cadorna, considerando che quello attuale dello Statuto verrà occupato quasi interamente dai due binari del tram.

Abbiamo parlato di territorio, di infrastrutture, di immagine urbana. Ma la città non è solo questo: essa possiede una storia, una vocazione internazionale che le viene da un passato eccezionale. Firenze non ha bisogno solo di infrastrutture e servizi, ma anche e soprattutto di ritrovare valori ed entusiasmo, di proiettare la propria immagine nel mondo, di valorizzare il patrimonio unico che le è stato tramandato dal passato. Un patrimonio che è fatto di monumenti e di dipinti, di statue e di libri, ma anche di idee e di coraggio. In un passato recente, eppure già così lontano, Firenze fu un riferimento internazionale per i costruttori di pace. Un sindaco ispirato, Giorgio La Pira, ne fece un faro per gli oppressi, un luogo di dialogo fra popoli in guerra e fra le religioni. Poi tutto è svanito nel nulla e la città si è rinchiusa in un sonnolento silenzio. Quella stagione può e deve essere rilanciata.

Tempo fa l'amico Gianni Conti mi espose un'idea. Dobbiamo realizzare, mi disse, una Casa per i diritti e le libertà dell'uomo, che sia un centro di incontro e di dialogo fra i popoli e le religioni. Dovrà essere un monumento, proseguì, sul cui progetto chiamare a concorso architetti da tutto il mondo e nel quale ospitare una nuova tribuna per il David di Michelangelo, l'opera simbolo della lotta per la libertà da ogni oppressione e da ogni aggressione. L'antico e il moderno si amalgameranno in questa nuova struttura, che potrebbe essere realizzata nel Parterre di piazza della Libertà.

Lì per lì rimasi ad ascoltarlo perplesso poi, a poco a poco nei giorni successivi, l'idea si fece strada nei miei pensieri, prendendo consistenza, finendo per affascinarmi. Ora la vedo sempre più nitida di fronte agli occhi. Il Parterre, oggi ridotto a un banale luogo per giostrine e burocrati, un tempo era l'ingresso della città sulla strada che arrivava dall'Europa. Un granduca illuminato vi costruì una nuova porta di fronte a quella duecentesca, un arco di trionfo che esaltava la volontà di spalancare una Firenze già provinciale verso il palcoscenico del mondo intero. Ho iniziato allora a immaginare questa Casa dei diritti dell'uomo elevarsi sopra la piazza, come quella terza porta di cui ebbe idea anni fa un architetto controverso ma geniale, Leonardo Ricci. Vedo un'architettura moderna e di forte connotazione simbolica dialogare con le vestigia del passato, dal giardino ottocentesco, all'arco trionfale del secolo dei lumi, alla porta dell'epoca di Dante, offrendo al mondo il volto di una città proiettata verso il futuro ma ancorata a un passato glorioso, annunciando la sua volontà di reinserirsi come protagonista e non come pigra spettatrice nella cultura europea. Vedo un faro per una cultura del dialogo, dell'accoglienza e della solidarietà

Chi verrà chiamato fra poco ad amministrare questa città, pensi anche a questo. Costituiamo una fondazione che realizzi il progetto e lo gestisca. Affidi il nuovo sindaco una delega per la Pace e il Dialogo interreligioso. Istituiamo un premio da assegnare a chi nel mondo avrà operato in queste due direzioni, come un piccolo ma prestigioso nobel tutto fiorentino. La cerimonia della consegna potrebbe avvenire sugli spalti di San Miniato al Monte, fra i marmi e le mura che testimoniano il cielo alla città sottostante. Così il messaggio di un nuovo Umanesimo partirebbe ancora una volta dalla città che ne fu culla, diffondendone l'immagine nel mondo.

Renzo Manetti, architetto urbanista
 

giovedì 8 maggio 2014

PROGETTARE A FIRENZE LA CASA DELLA CULTURA CIVILE , DEI DIRITTI UMANI E DELLA PACE

 
 
 
PROGETTARE A FIRENZE
LA CASA DELLA CULTURA CIVILE, DEI DIRITTI UMANI E DELLA PACE
di Gianni Conti
Vogliamo ancora ricordare la dimensione del tempo di La Pira, «non sifa politica senza storia, come non sifa storia se non per desiderio di ricavarne ammaestramenti e consigliare un fare». L'esistenza di Firenze, magnifica città, operatrice di pace durante gli anni della guerra fredda, è per sua naturale vocazione un'esistenza aperta e disponibile all'uomo; a tutti gli uomini di qualsiasi conti­nente.
Nessun amministratore, anche se figlio di nessuno e per questo né cattolico, né marxista, né laico, ha il diritto di isolare la città dal re­sto del mondo, o renderla anonima nel contesto internazionale. Nel nome del sindaco Giorgio La Pira e nella triste visione di Gaza e din­torni, la città deve riprcnderc un discorso interrotto e levare la pro­pria voce in nome della sua recente storia, nel nome della propria re­sponsabilità civile verso l'umanità, della legalità dei popoli sovrani, della dignità della persona, per la giustizia di chi è perseguitato a cau­sa di ragioni politiche o religiose.
La città di Firenze deve scrollarsi di dosso il complesso d'inferiorità nei confronti della splendida e grande stagione lapiriana. Il Medio Oriente, tutto il Mediterraneo, vive nell'instabilità politica e in una guerra a singhiozzo e senza fine che dura da oltre sessant'anni, con un terrorismo sempre più spietato, spietato, che prospera e cova sotto la ce­nere dei conflitti irrisolti. Firenze può e deve ancora operare uno sfor­zo di buona volontà per la pace, richiamando la sua tradizione, la ci­vilissima Dichiarazione di Helsinki e gli accordi in vigore sui diritti umani di tutto il pianeta, gli impegni che gli stati hanno assunto in quanto membri dell'Assemblea delle Nazioni Unite.
Certo, sorge spontanea una domanda: come faremo senza La Pira, padre Balducci, don Milani e il cardinale Elia Dalla Costa? Io credo
che conti di più il messaggio, conti di più la volontà di fare, di ope­rare, come soleva ripetere padre Balducci: «Se vuoi la pace, prepara la pace». E poi, Firenze, negli anni Cinquanta e Sessanta, è già stata il luogo della massima concentrazione internazionale di eventi e di raduni non programmati dal governo italiano, né da enti religiosi o laici: Palazzo Vecchio ci pensò da sé. Palazzo Vecchio e il nuovo sin­daco possono ancora farlo! Basta volerlo politicamente. In città e in Italia non mancano gli operatori di pace, gli uomini della cultura ci­vile, le fondazioni, e prima fra tutte quella che porta il nome del "sin­daco santo".
Però, se Firenze vuol essere davvero "città del mondo", deve proget­tare un suo "simbolo". Un simbolo che scaturisca dal suo immenso patrimonio artistico. Questo simbolo potrebbe essere il monumento di Michelangelo: il David che uccide il gigante Golia con una fion­da. Questa famosa statua, di proprietà della città di Firenze, ci pare la più indicata per simboleggiare la "Casa dei Diritti dell'Uomo". La statua più conosciuta nel mondo potrebbe essere collocata in una struttura (vero e proprio tempio laico) all'interno del Parterre, un'a­rea oggi decisamente banale, con dei brutti padiglioni anonimi, sen­za pretese o pregio artistico. Certo, una struttura (possibilmente mo­derna) dedicata all'autore della Cappella Sistina, andrebbe realizzata da un architetto di fama internazionale. Così facendo, la "Casa dei Diritti dell'Uomo", con la centralità del David di Michelangelo co­me simbolo del Nuovo Umanesimo, circondato dalle statue incom­piute dei Prigioni, propaganderebbe Firenze nel mondo come sim­bolo di giustizia e solidarietà. Naturalmente, intorno all'opera po­trebbero sorgere sale congressuali da dedicare ai massimi difensori della libertà e dignità dell'uomo: Gandhi, Mandela, B. Russell, La Pi­ra, Mazzini, Martin Luther King ecc. Questo progetto dovrà essere presentato (come idea) in Occasione (quest'anno) dei sessantadue an­ni della Dichiarazionesui Diritti dell'Uomo. A Firenze possiamo e sap­piamo dove far volgere l'attenzione del mondo intero, al fine di ri­portare la speranza laddove i diritti umani sono disattesi o calpestati. Firenze può e deve radunare uc nini di pace, studiosi, scienziati, re­ligiosi, studenti, lavoratori e famiglie, oltre le più variegate associa­zioni, attraverso congressi, convegni, incontri, dibattiti e manifesta­zioni pacifiche, in nome della difesa della libertà e della democrazia. Nella città di Giorgio La Pira si parlerà ancora dei lager, della tortu­ra, della miseria, delle malattie a carattere epidemico ecc. In questo spirito dobbiamo impegnare la nuova Amministrazione comunale, la Fondazione La Pira, l'Università, gli intellettuali fiorentini e stra‑
nieri, le organizzazioni del mondo del lavoro, i rappresentanti delle religioni, le associazioni del volontariato, per una stabile collabora­zione con le istituzioni, ma anche per uno scambio di valori cultura­li, civili e umani con tutti i consolati presenti nella nostra città. Firenze deve dimostrare - concretamente di operare contro tutte le brutalità e le violenze, di offrire in modo permanente un sostegno a tutti coloro che sono minacciati o perseguitati a causa dell'opera svol­ta per la pace, la giustizia, la libertà d'opinione e la democrazia come forma di rispetto e di cultura civile.
  

lunedì 28 aprile 2014

AVVISO

Siamo spiacenti di dover rinviare al mese di OTTOBRE il seminario del 10 - 05 - 2014 per indisponibilità dei locali del comune causa elezioni.

Il seminario sarà recuperato il giorno SABATO 4 OTTOBRE 2014, il luogo vi sarà comunicato tempestivamente a mezzo e-mail.

Scusandoci per il disagio porgiamo cordiali saluti

la vice-presidente
Gioietta Pietroniro

venerdì 11 aprile 2014

 
 

BREVIARIO PER PARLAMENTARI INESPERTI

Ugo Ojetti non era fiorentino. Era nato a Roma nel 1871 e SUO padre Raffaello era un affermato architetto. A Firenze però trascorse la seconda metà della sua vita.

Ojetti ebbe una vita intensa di lavoro. Critico d'arte, brillante giornalista e saggista, fu soprattutto un uomo intelligente e curioso, sempre interessato a mille cose, sempre intento a scrivere, a scoprire nuovi talenti. Laureato in giurisprudenza, si era dato al giornalismo politico. Nel 1894 aveva iniziato a collaborare a La Tribuna come inviato Speciale in Egitto. L'anno successivo si era fatto un nome pubblicando Alla scoperta dei letterati, un libro d'interviste a Scrittori come Fogazzaro, Carducci e D'Annunzio. Quel libro lo mise sulla Strada della critica d'arte e gli aprì la collaborazione a giornali e riviste come «Il Marzocco», il «Fanfulla della Domenica», «La Stampa». Nel 1901 era a Parigi per «Il Giornale d'Italia. Dal 1904 al 1909 collaborò a «Illustrazione italiana» con lo pseudonimo di Conte Ottavio.

Nel 1905 SI sposò con Fernanda Gobba e si trasferì a Firenze, dove prese dimora in un villino in via dei Della Robbia. Nel 1911 acquistò la villa del Salviatino dove visse fino alla fine dei suoi giorni (i gennaio 1946). Di essa divenne padrone e signore, lui che era chiamato "il giornalista principe".

Il Salviatino era appartenuto in antico al banchiere Alamanno d'Averardo Salviati che nel 1531 l'aveva acquistato dai Dal Borgo e l'aveva fatto completamente ristrutturare ricavandone una grandiosa dimora. Nelle mani di Ojetti era diventata «una fra le più vive e più note Ville di Firenze, scrive il Lenzi Orlandi, «una di quelle ville rappresentative, fotografate, pubblicate, ricordate negli articoli delle più diffuse riviste del mondo, perché essa è stata l'abitazione lussuosa, restaurata con ogni cura, arredata con splendida munificenza dal gusto e dalla raffinata signorilità d'un fiorentino d'adozione, Ugo Ojetti». Dal SaIviatino passarono i nomi più prestigiosi dell'arte e delle lettere italiani e stranieri da lui accolti con la più signorile ospitalità.

Marcello Vannucci mi raccontava di una volta che, giovanissimo, lo aveva incrociato sul cancello di quella villa mentre usciva. Era l'ora del tramonto, l'ora più struggente della giornata e Marcello vide quella figura di gentiluomo da manuale (il monocolo sempre fisso all'occhio destro), con l'aria di un cavaliere appena sceso dal suo cavallo, stagliarsi contro il cielo rosso del tramonto e attraversare la scena come un prim'attore che se ne va tirando un sipario di porpora fra lui e la platea. Scoppiata la prima guerra mondiale, era partito volontario, e, con il grado di sottotenente, aveva fatto parte della Commissione per la salvaguardia delle opere d'arte nelle zone di guerra. Contemporaneamente fu anche commissario dell'ufficio stampa e propaganda del Comando Supremo e come tale si diceva che fosse l'autore del celebre bollettino finale firmato da Diaz, "quello della vittoria". Inoltre era stato ancora lui a scrivere il secondo volantino dei due che furono lanciati su Vienna il 9 agosto 1918 da D'Annunzio durante il suo celebre volo. Tirato in 30000 copie, aveva avuto più fortuna del primo, scritto da D'Annunzio stesso, che era più lungo, verboso e intraducibile in tedesco. Dopodiché era tornato a casa con una onorevole medaglia di bronzo e i gradi da capitano.

Dopo la guerra aveva fondato a Milano «Dedalo» e a Firenze «Pegaso» e poi «Pan», riviste d'arte molto importanti fra le due guerre. Fu lui che scoprì giornalisti come Orlo Vergani, Paolo Monelli, Indro Montanelli. Fu lui che lanciò nelle sue riviste giovani scrittori come Giuseppe De Rohertis, Pietro Pancrazi, Guido Piovene o Eugenio Montale subito dopo l'esordio di Ossidi Seppia. Fu lui che pubblicò su «Pegaso», nel 1930, la prima novella di Alberto Moravia. Collaboratore del «Corriere della Sera» dal 1898 fino alla morte, ne divenne il direttore dal 1926 al 1927. Nel 1930 era stato fatto accademico d'Italia. Brillante uomo di lettere, aveva scritto: «Il giornalista è il solo scrittore che, quando prende la penna, non spera nell'immortalità». Ho ricordato Ugo Ojetti perché, riordinando ordine a una sezione della mia biblioteca, mi sono ritornati alle mani i sette vecchi volumi di Cose viste nella sobria ed elegante edizione che Arnoldo Mondatori aveva realizzato a cavallo fra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Cose viste è la raccolta dei suoi articoli usciti sul «Corriere della Sera» dal 1921 al 1938. In cose Viste - scrisse Giovanni Spadolini molti anni fa - Ojetti è giornalista «abile nell'uso del vocabolo, efficace nella presa immediata sul lettore, penetrante nel riprodurre le immagini della realtà che lo circonda»; «essenziale e asciutto», conclude, egli è «il vero protagonista» di quelle pagine.

Prima di ricollocarli al loro posto, ho preso in mano il primo di quei volumi, quello che compendia gli articoli scritti dal 1921 al 1923. L'ho sfogliato curioso, perché quelle pagine rievocano per me piacevoli letture di molti anni fa. Il caso ha voluto che il libro si aprisse sul titolo di un breve scritto: consigli ai deputati inesperti. Mi è venuto allora di pensare all'attuale Parlamento dove, dopo l'ultima rottamazione elettorale che ha messo fuori gran parte della vecchia guardia politica italiana, forse quelle poche pagine avrebbero potuto risultare utili a qualcuno dei più giovani neoparlamentari.

Ma avevo dimenticato il contenuto di quel breve articolo e allora l'ho riletto. In testa ci sono un luogo e una data: Firenze, 15 febbraio 1922. Poi Ojetti inizia a raccontare. I consigli non sono suoi, ma provengono da un uomo politico che «è stato deputato per parecchie legislature, una volta anche ministro; e adesso è morto. . .] Quando morì, i giornali gli dedicarono un necrologio di cinque righe appena. il suo nome, come capita spesso agli uomini politici, era quasi dimenticato». Dopo la sua morte, il figlio, nella biblioteca del padre - continua a raccontare ancora Ojetti - «ha ritrovato una gran busta gialla con su scritto: consigli a Paolo se mai si darà alla politica. Dentro, su fogli e foglietti di tutti i colori e dimensioni v'erano cento o duecento massime e aneddoti, e le più antiche risalivano addirittura ai tempi di Depretis». Il nome Paolo però è invenzione di Ojetti che per di più omette il nome del padre e specifica che, dopo che il figlio gliele aveva mostrate, lui aveva scelto, per pubblicare, solo alcune delle massime «evitando quelle che si riferiscono a uomini o fatti precisi».

Di quelle «cento o duecento massime» che aveva viste (e lette), Ojetti ne aveva trascritte nel suo articolo una trentina. Ne riportiamo quindici, quelle che ci sono sembrate le più attuali. Compongono poco più che un decalogo. Un decalogo e mezzo, per l'esattezza. Sono niente in confronto alle 305 raccolte in 58 argomenti (Rubricas) che il cardinale Mazarino aveva enunciato nel suo Breviario dei politici pubblicato nel 1684. Ma Mazarino (lui si firmava con una z sola) scriveva per chi aspirava a servire Luigi xiv, il re Sole, un monarca sfarzoso e assolutista, e il libro era destinato a un'élite politica così eccelsa e ristretta che le massime erano scritte rigorosamente in latino tanto che il titolo originale era Breviariurn Politico rum secundum rubricas Mazarinicas. Ciò nonostante, già sotto il regno di Luigi xiv, il successo del libro fu tale che dette luogo a più di dieci edizioni. In Italia invece comparve dopo e in italiano. Segno che se ne pronosticava un uso molto più democratico e "plebeo" perché destinato ad una élite politica giudicata (forse ingiustamente) di più scarsa consistenza. Ma ora torniamo al "breviario", quello estratto dal lascito politico-moraie del padre parlamentare (anonimo) dell'amico (sotto pseudonimo) di Ojetti. ricco allora, come ho già detto, le quindici massime che mi hanno più colpito, delle trenta che avevano più colpito Ojetti, delle «cento o duecento» che aveva scritto per il figlio l'anonimo parlamentare:

 1.Nei parlamenti hanno corso solo quelle verità un po'invecchiate che cominciano a diventare bugie.

2. Il vero uomo politico deve essere forte e parere accomodevole. Il vero uomo            deve essere accomodevole e parere forte.

3. Un gruppo parlamentare si può dir solido quando tutti i suoi aderenti abbiano accettato questa massima: - Io crederò a tutto quello che mi dirai tu; tu crederai a tutto quello che ti dirò io.

4. Se vuoi ottenere un favore da un ministro, è inutile che gli voti contro. Basta che tu confidi a un amico di lui che intendi votargli contro.

5. Riconciliati al momento buono coi tuoi nemici, ma davanti a tutti, storicamente.

6. Gran bella qualità, in politica, la paura. Ma abbi cura di chiamarla prudenza tattica, tradizione, disciplina, amor di patria ecc.

7. Quanto grasso di bugia occorre, in un Parlamento, per mettere in moto la macchina della verità?

8. Abbi, o Signore, pietà d'un presidente del Consiglio. Egli sa quello che non si fa.

9. Nazione, Parlamento: moglie giovane, marito vecchio.

10. Se vuoi offendere un avversario, lodalo a gran voce per le qualità che gli mancano.

11. Il  lusso più pericoloso è dir male di te stesso.

12. Se t'occupi di politica estera, ricordati che l'azione d'un diplomatico consiste tutta nell'impedire che altri agisca.

13. Se vuoi riuscire a sapere qualcosa, fingi di saperla.

14. Insegna sempre un poco meno di quello che sai.

15. E bene avere una fede; è male mostrarla.

Ecco, questo è il breve, brevissimo Breviario che abbiamo dedotto dalle pagine di Ojetti. E chi, dopo averlo consultato e seriamente praticato, non vedesse le proprie fortune politiche ascendere a quelle vette che sognava, non dia tutta la colpa alla sua brevità (se fosse lungo, che breviario sarebbe?). Ne rilevi almeno la marcata ironia e la disinvolta morale e magari lo chiami Breviarium Ojettianum come farebbe, con Cicerone, un politico di primo rango. E sappia che sarebbe comunque ingiusto c riduttivo definirlo "il Bignami dei Parlamentari".
Antonio Fredianelli   scrittore
Il Governo delle Idee  n. 123 diretto da Gianni Conti

mercoledì 9 aprile 2014

Presentazione  del libro "Diario di un clochard"  sabato 22 marzo , a Londa (Firenze)
Articolo di stampa

martedì 25 marzo 2014

Vi segnalo per chi è interessato che il giorno  Sabato 5 Aprile 2014 al Palagio di parte Guelfa -Salone Brunelleschi Firenze sarà presentato il libro Diario di Viaggi da Firenze al Mondo 
Autori Umberto Graziani e Maria Pia Balzer


 
 

 


lunedì 27 gennaio 2014

Diario di un Clochard di Carlo Cocchi

Il racconto " Diario di un Clochard " appare di grande impatto educativo -socio-culturale per cui trasmettiamo volentieri l'invito pervenuto alla nostra Associazione  sollecitando la Vostra partecipazione alla manifestazione come da allegato  .