venerdì 31 ottobre 2014

DEMOCRAZIA SOGNO PROIBITO O REALTA' OPERANTE ? '

DEMOCRAZIA:
SOGNO PROIBITO O REALTÀ OPERANTE?
di Delfo Del Bino
Tutto mi aspettavo, ma non di essere costretto a constatare che nel terzo millennio, alla fine del funesto «secolo breve» ci fosse ancora tanta incertezza interpretativa sul reggimento politico di una nazione, universalmente conosciuto col nome di Democrazia. Tornando a riflettere sul pensiero di uno tra i primi intellettuali che si sono interessati di questa forma di governo, cito nuovamente Ale¬xis de Tocqueville e il suo primo taccuino, La democrazia in Ameri¬ca. Orbene, detto autore paventa il pericolo che alla dittatura impo¬sta da una persona fisica, se ne possa sostituire un'altra non meno per¬niciosa, la dittatura della maggioranza da lui minacciosamente indicata quale «tirannide della maggioranza».
E qualcosa di più di un dubbio, sicché a tal proposito scrive: «Io con¬sidero empia e detestabile questa massima, secondo la quale, in ma¬teria di governo la maggioranza di un popolo ha il diritto di far tut¬to. Nondimeno, pongo nella volontà della maggioranza l'origine di tutti i poteri. Sono forse in contraddizione con me stesso?».
Il nostro Alexis sembra turbato da un dilemma: per un verso trova corretto che le decisioni di vertice siano conseguenza di una volontà, quella della maggioranza; per un altro verso, ritiene non sia lecito che "tutti" i poteri debbano trarre unica origine nella volontà della mag¬gioranza. Esemplificando - era un esempio venutomi in mente quan¬do appoggiato sulla spalletta dell'Arno, conversavo con un amico - se cinque amici attraversano l'Arno sul Ponte Vecchio e, a un certo punto, quattro di essi decidono di prendere il quinto, sollevarlo e get¬tarlo nel fiume, compiono un atto che, sotto il profilo della demo¬crazia dei numeri, non fa una piega, ma è del tutto inaccettabile sot¬to quello della correttezza sostanziale. Ciò significa che la democra¬zia non può limitarsi a essere un problema di maggioranze e di minoranze, ma anche e soprattutto di correttezza e di giustizia so¬stanziali. In altre parole non basta che le decisioni siano assunte dal¬la maggioranza espressa attraverso una votazione, ma è necessario che quanto viene votato non leda i principi di equità e di giustizia indi¬cati dalla legge.
Sintetizzando: una società per aspirare a essere considerata autenti-camente democratica, prima di tutto deve essere una società giusta nei diritti e nei doveri dei suoi cittadini.
Proprio per tali considerazioni il nostro Alexis de Tocqueville viene assalito da forti dubbi. Ai quali reagisce subito dopo, tanto che al suo scritto aggiunge: «Esiste una legge generale che è stata fatta, o perlo¬meno è stata adottata, non solo dalla maggioranza di questo o quel popolo, ma dalla maggioranza di tutti gli uomini: questa legge è la Giustizia».
Tocqueville ripone quindi nella Giustizia, ovvero nelle leggi dello Sta¬to, il punto di equilibrio in grado di impedire che la maggioranza, qualsiasi maggioranza, possa trasformarsi in tirannide.
Cos'era la Giustizia da lui invocata quale uomo dell'immediato pe-riodo post rivoluzionario e post napoleonico, se non quel complesso di regole in cima alle quali sta il trinomio che le sintetizza e ci am¬monisce, ovvero quella combinazione di valori che ne esprime la sin¬tesi? La Libertà, l'Uguaglianza e la Fraternità a suo tempo in gran par¬te raccolti in quel documento che il 16 agosto 1789, fu approvato dal¬l'Assemblea nazionale francese sotto il tiolo di Diritti dell'Uomo e del Cittadino. Si tratta di valori universali, ed è da questi valori che derivano, scritti in un modo o in altro, alcune regole auree. Inseri¬sco, a mo' di esempio, l'articolo z e 3 della Costituzione della Re¬pubblica Italiana:
Art. z: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili del¬l'uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
Art. : «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali da-vanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di reli¬gione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali».
Che la democrazia del numero non costituisse titolo sufficiente on-de uno Stato fosse dichiarato democratico, era già stato provato dal fatto che al numero hanno fatto ricorso un po' tutti, ivi compreso il totalitarismo fascista il quale, nel suo Gran Consiglio, metteva in evi

denza proprio i numeri, tanto che, a causa dei numeri, il 25 luglio del
1943 pose fuori corso nientemeno che il suo duce, da oltre venti an
ni suo capo carismatico.
Stabilito così che la democrazia del numero, altro non è che derno
crazia apparente e non sostanziale, tendenzialmente portata a tra
sformarsi in tirannia della maggioranza, a maggior ragione non può
essere accettato che tale forma di tirannia venga fatta propria dalla
minoranza.
Se per ovviare alla tirannide della maggioranza è necessario ricorrere
alle leggi che hanno da essere giuste, come si possono comprendere
fatti clamorosi quale quello di una minoranza che, per impedire le
procedure parlamentari poste in essere dalla maggioranza, ricorre al
l'ostruzionismo sottoponendo alla Presidenza del Parlamento nien
temeno che - cento più, cento meno - ben ottomila proposte di
emendamento?
Se non è giusto che la maggioranza possa trasformarsi in tirannide, è
giusto che le sue legittime attese debbano essere frustrate da mano
vre ostruzionistiche che impediscano al Parlamento di svolgere i pro
pri lavori e alla maggioranza di svolgere il proprio mestiere?
L’interrogativo è aperto e attuale: attende una risposta, alla luce dei concetti e degli aggettivi più recentemente formulati e attribuiti al sostantivo Democrazia. Infatti per Democrazia non deve intendersi solo e unicamente quella forma di governo in grado di sostituire i protagonisti della politica in modo pacifico) in base all'aggiorna¬mento dei meccanismi procedurali, ma anche per il clima di reci¬proco rispetto nel quale le battaglie politiche si svolgono. Un clima che esclude il ricorso a qualsiasi atto di violenza rivoluzionaria.
Non si deve intendere cioè - come si è visto in precedenza - nem¬meno quella forma di governo in cui la maggioranza è legittimata a fare tutto quello che vuole, con ciò trasformando il governo stesso in una vera e propria dittatura della maggioranza.
I pericoli in tal senso sono molti. Nelle democrazie dei nostri tempi, molte sono le scelte che pretendono conoscenze approfondite e con¬sapevoli degli argomenti in discussione, tanto da non essere alla por¬tata di gran parte degli elettori di base. Appare pertanto giusto che si ponga rimedio mediante una delega da affidare a colui o coloro che sono esperti dei particolari problemi e, allo stesso tempo, godano del¬la fiducia degli elettori di base. Se tutto ciò appare corretto, il Parla¬mento dovrebbe essere composto di delegati che godono la fiducia di tutto il corpo elettorale. Assai minore è la legittimità della pretesa di escludere dalla scelta dei propri rappresentanti il contributo dell'e¬lettore di base, ovvero di colui che lo dovrà sostituire in Parlamento e proprio nelle scelte pii difficili. Non ho difficoltà a considerare una tale imposizione un vero e proprio attentato alla Democrazia. Spia¬ce che alcuni partiti, ma soprattutto alcuni uomini politici, assuma¬no atteggiamenti tanto sventuratamente negativi. Qualcuno dirà che ciò viene obbligatoriamente fatto proprio quando la sua accettazio¬ne sia divenuta condizione necessaria per dare attuazione alla forma¬zione di una maggioranza che consenta di mettere in moto i mecca¬nismi decisionali di una democrazia. La quale. viene, a quanto pare, apprezzata pii per la capacità di essere attiva, piuttosto che per il se¬gno politico della sua attività.
In questo sventurato caso vi è di mezzo una situazione che pone il nostro Paese di fronte a un guado sul quale spirano venti violenti di crisi che non lasciano intravedere tempi di quiete. Voglio solo spera¬re che la maggioranza oggi in formazione abbia la fortuna di atte-nuare la forza di tali venti di crisi e che il Paese possa riprendere il proprio cammino con a fianco una classe politica all'altezza dell'in¬telligente operosità dei propri abitanti.
Delfo Del Bino, architetto