BREVIARIO PER PARLAMENTARI
INESPERTI
Ugo Ojetti non era fiorentino.
Era nato a Roma nel 1871 e SUO padre Raffaello era un affermato architetto. A
Firenze però trascorse la seconda metà della sua vita.
Ojetti ebbe una vita intensa di
lavoro. Critico d'arte, brillante giornalista e saggista, fu soprattutto un
uomo intelligente e curioso, sempre interessato a mille cose, sempre intento a
scrivere, a scoprire nuovi talenti. Laureato in giurisprudenza, si era dato al
giornalismo politico. Nel 1894 aveva iniziato a collaborare a La Tribuna come
inviato Speciale in Egitto. L'anno successivo si era fatto un nome pubblicando
Alla scoperta dei letterati, un libro d'interviste a Scrittori come Fogazzaro,
Carducci e D'Annunzio. Quel libro lo mise sulla Strada della critica d'arte e
gli aprì la collaborazione a giornali e riviste come «Il Marzocco», il
«Fanfulla della Domenica», «La Stampa». Nel 1901 era a Parigi per «Il Giornale
d'Italia. Dal 1904 al 1909 collaborò a «Illustrazione italiana» con lo
pseudonimo di Conte Ottavio.
Nel 1905 SI sposò con Fernanda
Gobba e si trasferì a Firenze, dove prese dimora in un villino in via dei Della
Robbia. Nel 1911 acquistò la villa del Salviatino dove visse fino alla fine dei
suoi giorni (i gennaio 1946). Di essa divenne padrone e signore, lui che era
chiamato "il giornalista principe".
Il Salviatino era appartenuto in
antico al banchiere Alamanno d'Averardo Salviati che nel 1531 l'aveva
acquistato dai Dal Borgo e l'aveva fatto completamente ristrutturare
ricavandone una grandiosa dimora. Nelle mani di Ojetti era diventata «una fra
le più vive e più note Ville di Firenze, scrive il Lenzi Orlandi, «una di
quelle ville rappresentative, fotografate, pubblicate, ricordate negli articoli
delle più diffuse riviste del mondo, perché essa è stata l'abitazione lussuosa,
restaurata con ogni cura, arredata con splendida munificenza dal gusto e dalla
raffinata signorilità d'un fiorentino d'adozione, Ugo Ojetti». Dal SaIviatino
passarono i nomi più prestigiosi dell'arte e delle lettere italiani e stranieri
da lui accolti con la più signorile ospitalità.
Marcello Vannucci mi raccontava
di una volta che, giovanissimo, lo aveva incrociato sul cancello di quella
villa mentre usciva. Era l'ora del tramonto, l'ora più struggente della
giornata e Marcello vide quella figura di gentiluomo da manuale (il monocolo
sempre fisso all'occhio destro), con l'aria di un cavaliere appena sceso dal
suo cavallo, stagliarsi contro il cielo rosso del tramonto e attraversare la
scena come un prim'attore che se ne va tirando un sipario di porpora fra lui e
la platea. Scoppiata la prima guerra mondiale, era partito volontario, e, con
il grado di sottotenente, aveva fatto parte della Commissione per la
salvaguardia delle opere d'arte nelle zone di guerra. Contemporaneamente fu
anche commissario dell'ufficio stampa e propaganda del Comando Supremo e come
tale si diceva che fosse l'autore del celebre bollettino finale firmato da
Diaz, "quello della vittoria". Inoltre era stato ancora lui a
scrivere il secondo volantino dei due che furono lanciati su Vienna il 9 agosto
1918 da D'Annunzio durante il suo celebre volo. Tirato in 30000 copie, aveva
avuto più fortuna del primo, scritto da D'Annunzio stesso, che era più lungo,
verboso e intraducibile in tedesco. Dopodiché era tornato a casa con una
onorevole medaglia di bronzo e i gradi da capitano.
Dopo la guerra aveva fondato a
Milano «Dedalo» e a Firenze «Pegaso» e poi «Pan», riviste d'arte molto
importanti fra le due guerre. Fu lui che scoprì giornalisti come Orlo Vergani,
Paolo Monelli, Indro Montanelli. Fu lui che lanciò nelle sue riviste giovani
scrittori come Giuseppe De Rohertis, Pietro Pancrazi, Guido Piovene o Eugenio
Montale subito dopo l'esordio di Ossidi Seppia. Fu lui che pubblicò su
«Pegaso», nel 1930, la prima novella di Alberto Moravia. Collaboratore del
«Corriere della Sera» dal 1898 fino alla morte, ne divenne il direttore dal
1926 al 1927. Nel 1930 era stato fatto accademico d'Italia. Brillante uomo di
lettere, aveva scritto: «Il giornalista è il solo scrittore che, quando prende
la penna, non spera nell'immortalità». Ho ricordato Ugo Ojetti perché,
riordinando ordine a una sezione della mia biblioteca, mi sono ritornati alle
mani i sette vecchi volumi di Cose viste nella sobria ed elegante edizione che
Arnoldo Mondatori aveva realizzato a cavallo fra gli anni Trenta e Quaranta del
Novecento. Cose viste è la raccolta dei suoi articoli usciti sul «Corriere
della Sera» dal 1921 al 1938. In cose Viste - scrisse Giovanni Spadolini molti
anni fa - Ojetti è giornalista «abile nell'uso del vocabolo, efficace nella
presa immediata sul lettore, penetrante nel riprodurre le immagini della realtà
che lo circonda»; «essenziale e asciutto», conclude, egli è «il vero
protagonista» di quelle pagine.
Prima di ricollocarli al loro
posto, ho preso in mano il primo di quei volumi, quello che compendia gli
articoli scritti dal 1921 al 1923. L'ho sfogliato curioso, perché quelle pagine
rievocano per me piacevoli letture di molti anni fa. Il caso ha voluto che il
libro si aprisse sul titolo di un breve scritto: consigli ai deputati
inesperti. Mi è venuto allora di pensare all'attuale Parlamento dove, dopo
l'ultima rottamazione elettorale che ha messo fuori gran parte della vecchia
guardia politica italiana, forse quelle poche pagine avrebbero potuto risultare
utili a qualcuno dei più giovani neoparlamentari.
Ma avevo dimenticato il contenuto
di quel breve articolo e allora l'ho riletto. In testa ci sono un luogo e una
data: Firenze, 15 febbraio 1922. Poi Ojetti inizia a raccontare. I consigli non
sono suoi, ma provengono da un uomo politico che «è stato deputato per
parecchie legislature, una volta anche ministro; e adesso è morto. . .] Quando
morì, i giornali gli dedicarono un necrologio di cinque righe appena. il suo
nome, come capita spesso agli uomini politici, era quasi dimenticato». Dopo la
sua morte, il figlio, nella biblioteca del padre - continua a raccontare ancora
Ojetti - «ha ritrovato una gran busta gialla con su scritto: consigli a Paolo se
mai si darà alla politica. Dentro, su fogli e foglietti di tutti i colori e
dimensioni v'erano cento o duecento massime e aneddoti, e le più antiche
risalivano addirittura ai tempi di Depretis». Il nome Paolo però è invenzione
di Ojetti che per di più omette il nome del padre e specifica che, dopo che il
figlio gliele aveva mostrate, lui aveva scelto, per pubblicare, solo alcune
delle massime «evitando quelle che si riferiscono a uomini o fatti precisi».
Di quelle «cento o duecento
massime» che aveva viste (e lette), Ojetti ne aveva trascritte nel suo articolo
una trentina. Ne riportiamo quindici, quelle che ci sono sembrate le più
attuali. Compongono poco più che un decalogo. Un decalogo e mezzo, per
l'esattezza. Sono niente in confronto alle 305 raccolte in 58 argomenti
(Rubricas) che il cardinale Mazarino aveva enunciato nel suo Breviario dei
politici pubblicato nel 1684. Ma Mazarino (lui si firmava con una z sola)
scriveva per chi aspirava a servire Luigi xiv, il re Sole, un monarca sfarzoso
e assolutista, e il libro era destinato a un'élite politica così eccelsa e
ristretta che le massime erano scritte rigorosamente in latino tanto che il
titolo originale era Breviariurn Politico rum secundum rubricas Mazarinicas.
Ciò nonostante, già sotto il regno di Luigi xiv, il successo del libro fu tale
che dette luogo a più di dieci edizioni. In Italia invece comparve dopo e in
italiano. Segno che se ne pronosticava un uso molto più democratico e
"plebeo" perché destinato ad una élite politica giudicata (forse ingiustamente)
di più scarsa consistenza. Ma ora torniamo al "breviario", quello
estratto dal lascito politico-moraie del padre parlamentare (anonimo)
dell'amico (sotto pseudonimo) di Ojetti. ricco allora, come ho già detto, le
quindici massime che mi hanno più colpito, delle trenta che avevano più colpito
Ojetti, delle «cento o duecento» che aveva scritto per il figlio l'anonimo
parlamentare:
1.Nei parlamenti hanno corso solo quelle
verità un po'invecchiate che cominciano a diventare bugie.
2. Il vero uomo politico deve
essere forte e parere accomodevole. Il vero uomo deve essere accomodevole e parere forte.
3. Un gruppo parlamentare si può
dir solido quando tutti i suoi aderenti abbiano accettato questa massima: - Io
crederò a tutto quello che mi dirai tu; tu crederai a tutto quello che ti dirò
io.
4. Se vuoi ottenere un favore da
un ministro, è inutile che gli voti contro. Basta che tu confidi a un amico di
lui che intendi votargli contro.
5. Riconciliati al momento buono
coi tuoi nemici, ma davanti a tutti, storicamente.
6. Gran bella qualità, in
politica, la paura. Ma abbi cura di chiamarla prudenza tattica, tradizione,
disciplina, amor di patria ecc.
7. Quanto grasso di bugia
occorre, in un Parlamento, per mettere in moto la macchina della verità?
8. Abbi, o Signore, pietà d'un
presidente del Consiglio. Egli sa quello che non si fa.
9. Nazione, Parlamento: moglie
giovane, marito vecchio.
10. Se vuoi offendere un
avversario, lodalo a gran voce per le qualità che gli mancano.
11. Il lusso più pericoloso è dir male di te stesso.
12. Se t'occupi di politica
estera, ricordati che l'azione d'un diplomatico consiste tutta nell'impedire
che altri agisca.
13. Se vuoi riuscire a sapere
qualcosa, fingi di saperla.
14. Insegna sempre un poco meno
di quello che sai.
15. E bene avere una fede; è male
mostrarla.
Ecco, questo è il breve,
brevissimo Breviario che abbiamo dedotto dalle pagine di Ojetti. E chi, dopo
averlo consultato e seriamente praticato, non vedesse le proprie fortune
politiche ascendere a quelle vette che sognava, non dia tutta la colpa alla sua
brevità (se fosse lungo, che breviario sarebbe?). Ne rilevi almeno la marcata
ironia e la disinvolta morale e magari lo chiami Breviarium Ojettianum come
farebbe, con Cicerone, un politico di primo rango. E sappia che sarebbe
comunque ingiusto c riduttivo definirlo "il Bignami dei
Parlamentari".
Antonio Fredianelli scrittore
Il Governo delle Idee n. 123 diretto da Gianni Conti