giovedì 24 novembre 2011

Firenze ,per essere una città magnifica .


Molto spesso si parla della città e dei suoi problemi prescindendo dal considerare coloro che la vivono ; di coloro che occupano lo spazio urbano , cioè i cittadini residenti .

Soprattutto nelle grandi e popolose città italiane , da tempo infatti, non è difficile osservare che l’impegno (stagione dei grandi sindaci di Firenze Fabiani e La Pira) per la costruzione di una Firenze a misura d’uomo ha lasciato il passo alla stanca gestione del quotidiano , all’evasione del cittadino senza più ragioni per costruire una città più vivibile , soprattutto nel centro storico e nelle periferie .

Non si può parlare della città , soprattutto di una città “ Patrimonio dell’umanità “, come di nessuna rilevanza umana, se non in quanto questo interessa gli uomini che la vivono?

Basta attraversare la storica piazza della Santissima Annunziata per rimanere di sasso!

Che dire delle piazze dove regna il caos sovrano : Le Cure, Dalmazia, La Stazione , ecc… Dovunque, senza nascondere le preoccupazioni suscitate dalla crisi politica del Paese, occorre dire che la vera questione morale è l’assenza totale di  risposte positive da parte dei rappresentanti della cosa pubblica.

Purtroppo la politica è in crisi perché in questi anni è andata perduta una cultura civile , che solo lei può dare le ragioni dell’impegno politico per riordinare la città e riportare la gioia di vivere nei cittadini.

Firenze , 24/11/2011            Gianni Conti

martedì 8 novembre 2011

RIFLESSIONI ESTIVE PAOLO GARUGLIERI

Siamo ormai a conclusione del periodo estivo e sotto l’ombrellone, si ricordano i tempi dei governi di centrosinistra che aspettavano che gli Italiani fossero sotto l’ombrellone per prendere decisioni impopolari, con la certezza che al ritorno dalle ferie vi sarebbe stata una minore attenzione, poi arrivarono gli “autunni caldi”, poi è arrivata anche la fine della Democrazia Cristiana e dei governi di centrosinistra. Si pensava che un’epoca fosse stata superata e invece ci troviamo di fronte agli stessi problemi di vent’anni fa: o il tempo non è passato o qualcuno ha barato!
Il tempo è sicuramente passato, allora non rimane che la seconda ipotesi.  Chi ha barato è facile da individuare: è chi per mantenere saldo il suo scranno ha nascosto la gravità della situazione, promettendo di ridurre le tasse,  di efficentare la pubblica amministrazione, di realizzare grandi operare pubbliche.
Questa Repubblica in diciotto anni non ha fatto un passi avanti. Uno esempio: la riforma fiscale del 1972 aveva un nodo centrale nel passaggio da un sistema di accertamento induttivo (sulla base di valutazioni soggettive da parte degli accertatori) a un sistema deduttivo, sulla base dei dati oggettivi dichiarati dal contribuente.  La riforma era considerata una evoluzione nell’imposizione fiscale. E’ ormai da qualche tempo che questo principio con le varie articolazioni del redditometro  introdotte,  è stato man mano disatteso. E’ invece notizia di questi giorni il ricorso a una altra forma di valutazione induttiva per sconfiggere l’evasione fiscale. Se l’accertamento deduttivo venne considerato come grande principio per il raggiungimento della equità fiscale, come dobbiamo considerare le fase opposta?
Il lavoro sommerso oltre a deprimere il Pil e quindi far lievitare il parametro dell’indebitamento, costituisce anche un minor gettito fiscale; anziché introdurre verifiche serie per cercare di recuperare l’IVA evasa, si parla di aumentare le aliquote, o cosa ancor più ridicola si è riesumata la vecchia ipotesi di far detrarre tutte le spese documentate dai redditi. Si tratta della solita misura propagandistica perché si sa bene che materialmente è impossibile un obiettivo del genere. Non farò una analisi dei punti di forza e di debolezza, lascio a ognuno che legge immaginarsi il ridicolo che l’attuazione di una simile proposta comporterebbe, l’ipotesi di conservare gli scontrini fiscali per aver diritto alla deduzione ha del ridicolo.
La soluzione è semplice e non si deve essere certo profondi studiosi del diritto tributario per capire come agire per eliminare l’evasione: è sufficiente uno Stato che faccia rispettare la Legge con la giusta serietà. Chi evade deve essere assoggettato a una pena equa per il fatto che ha compiuto, e l’evadere non è grave tanto per il fatto in se stesso, quando per il danno che arreca alla collettività: L’effetto del reato non è il mancato introito di una somma da parte dello Stato, ma il danno cagionato alla collettività. La sanzione per l’evasore, perciò, deve essere inflitta in funzione della gravità non del mancato pagamento ma del danno che il suo comportamento omissivo ha cagionato a tutti i cittadini, forzatamente privata di servizi collettivi.
In questi anni, dal dopo guerra a oggi, ci siamo comportati come se tutto fosse illimitato, le materia prime, la finanza, tutto era nelle nostre disponibilità, ci siamo sentiti padroni dell’universo, non abbiamo voluto accettare l’idea che vi fosse una linea oltre la quale c’è il vuoto. Così abbiamo, sconsideratamente, incrementato a dismisura la spesa pubblica, abbiamo favorito l’indebitamento delle famiglie e delle imprese ben oltre le possibilità, abbiamo volutamente ignorato i limiti dell’etica spostando la “dead line” ogni qualvolta non riuscivamo a rimanerne nel perimetro.
Ora è venuto il momento di cominciare a trarre i saldi e pagare i conti.
I primi segni della bufera si sono manifestati oltre oceano con un sistema creditizio in crisi, e l’intervento dello Stato che ha immesso liquidità gettando un’ancora di salvezza al sistema, ma a distanza di tre anni  il timore(fondato) è che la situazione potrebbe ripresentarsi, e questa volta l’America non potrà essere l’ancora di salvezza.
Ricordiamo che denaro pubblico è stato utilizzato per ripianare perdite prodotte da una gestione sconsiderata e senza limiti, le prime avvisaglie della crisi sono scaturite da un mercato immobiliare che non più supportato dalla illimitatezza delle  risorse ha dato segnali di cedimento. Il panico ha colpito il sistema finanziario più direttamente interessato da questo tipo di operazioni. Ma nell’ambito del sistema globale si tratta ancora di una piccola porzione di aziende.
Immaginiamoci, ma credo che la cosa possa andare al di là d ogni possibile e catastrofica immaginazione, se un problema analogo a quello del real estate colpisse il debito sovrano, ovvero la illiquidità di uno Stato non marginale, che avesse come conseguenza non una situazione di default vera e propria, ma anche solo una semplice ricontrattazione delle scadenze.
L’effetto non potrebbe essere altro che devastante non solo per il diretto ma anche per l’indotto. Gli investitori, fino a poco tempo fa, hanno considerato il debito sovrano come un investimento tranquillo, le agenzie di rating attribuivano al debito statale di regola il massimo livello di sicurezza, e sulla base di questi valori tutti hanno comprato. Quanto di questo debito è collocato all’interno della finanza proprietaria delle grandi istituzioni creditizie?  Sicuramente cifre inimmaginabili, se uno Stato titolare di debiti in misura significativa cadesse in default l’effetto domino sarebbe devastante. Queste considerazioni non giustificano però il tenere un atteggiamento di sufficienza come è stato fatto negli ultimi quattro decenni.
Il sistema finanziario/creditizio al di fuori e sopra  ogni regola si era spinto oltre ogni limite: la tutela del risparmiatore aveva lasciato il passo alla smodata sete di guadagni, in una stessa figura (l’istituzione creditizia) si sono concentrati i ruoli del garante (del risparmio)  e dell’investitore che agisce sul mercato per fini (di guadagno) propri. Per soddisfare il portatore del capitale che chiede di massimizzare il reddito del suo investimento.
Facile in questa situazione gettarsi in operazioni molto speculative, in grado di dare remunerazioni importanti;  in un mercato in crescita il risultato non poteva altro che essere positivo. Si è arrivati quindi a speculare non solo sulle materie ma anche sulle variazioni degli indici delle stesse. Operazioni meramente speculative il cui unico limite è dato solo dall’esistenza di una controparte disposta ad accettare un rischio di segno contrario.
Facciamo un esempio concreto, per rifarsi a un noto film. Il limite una speculazione su un succo di frutta sarà dato dalla quantità di prodotto di cui posso disporre, quindi l’investimento sarà correlato al costo del prodotto e il guadagno o la perdita saranno generati dalla forbice fra prezzo di acquisto e vendita. Se al contrario io posso giocare sulla variazione dell’indice in aumento o diminuzione l’unico limite sarà dato dalle disponibilità finanziarie che posso porre nell’operazione e da una controparte che accetta l’alea. Maggiori saranno i capitali di cui potrò disporre, maggiori le capacità di influenzare, secondo la basilare legge del mercato, l’andamento del prezzo. Attraverso un’operazione finanziaria sono in grado di incidere, condizionandolo, sul prezzo di una materia prima, pur rimanendo al di fuori del mercato diretto.
Anche a un conoscitore della materia balza evidente la distorsione di un prezzo non più legato solo alla domanda e all’offerta ma condizionato da una sottostante attività finanziaria. Motivo per il quale certi imprenditori anziché investire nell’azienda per favorirne lo sviluppo, hanno dirottato i fondi sulla finanza, con il miraggio di conseguire guadagni superiori, togliendo, allo stesso tempo, linfa vitale alla produzione.
Questo però è ancora l’aspetto più semplice, da avere come esempio, per comprendere certe dinamiche.
Il dogma di questi ultimi anni è stato la massimizzazione dei guadagni.
C’è da chiedersi se questa strada sia stata corretta e se chi doveva vigilare nell’interesse della collettività lo abbia fatto con adeguatezza. In apparenza la risposta non può essere positiva, almeno sulla scorta dei risultati che si stanno conseguendo. La speculazione ha guidato un po’ tutto, per un periodo non si è avuto altro interesse se non la rincorsa ai risultati, con la cosi detta ingegneria finanziaria si è creduto di costruire galassie infinite, in un delirio di onnipotenza si è concesso di operare come se la risorsa “denaro” fosse infinita. Gli esisti sono visibili a tutti: gli speculatori hanno trovato terreno fertile per i loro guadagni, e non sarà la Tobin tax, ipotizzata dell’asse franco-tedesco, a scoraggiargli o porre un freno.
Una delle roccaforti del nostro Governo è stata in recente passato, quando il debito pubblico di Irlanda a Grecia era sotto attacco da parte degli speculatori, di affermare che il debito pubblico italiano era al riparo dalla speculazione perché finanziato in prevalenza dagli stessi risparmiatori, con scarsissimo ricorso agli investitori internazionali.
Affermazione incauta ampiamente smentita da quanto sta accadendo. Il debito italiano pur avendo sulla base degli indici di rischio paese una stabilità maggiore di quello spagnolo è stato fatto oggetto di attacchi speculativi, che in parte sono stati bloccati dall’intervento della Banca Centrale Europea. Non è pensabile che il debito pubblico dell’Italia possa essere sostenuta dall’Europa come è stato fatto per Grecia e Irlanda e questo lo sanno bene anche gli speculatori, perciò quello che è accaduto deve essere letto come è un segnale (forte) che il Governo deve valutare attentamente per prendere le opportune contromisure.
Più che una situazione finanziaria preoccupante stiamo pagando lo scarso peso internazionale e un’insufficiente azione del Governo che, assorbito dalle leggi salva premier si è disinteressato delle questioni economiche fino al quando, aggredito da una speculazione selvaggia, ha dovuto forzatamente accorgersi di una situazione che stava precipitando; disinteressarsene, ignorando i segnali, come aveva fatto fino a quel momento, con messaggi a sfondo tranquillizzate, non era più possibile.
L’asse franco tedesco che si andava disegnando, in parte condizionato anche dalla necessità della Francia di rassicurare gli analisti sul debito pubblico interno, si è rafforzato e facendo leva proprio sulle questioni finanziarie ha estromesso l’Italia da qualsiasi decisione a livello europeo. Parlare di commissariamento, come è stato fatto, è improprio perché non sono state dettate regole specifiche sul cosa fare, ma certamente sono stati fissati obiettivi, che, peraltro, avrebbero dovuto essere nel mirino del Governo da qualche tempo, se non fosse stato assorbito in altre giudiziarie questioni. In conformità a questi “saldi” dovranno essere impostate le opportune manovre. In un’azienda si direbbe che sono stati fissati gli obiettivi di budget, alla struttura determinare le metodologie per conseguirli.
Facile applicare i tagli lineari alle spese dei ministeri, altrettanto facile mettere le mani in tasca ai contribuenti più esposti e prelevare, difficile è invece la strada dello sviluppo: allora il Governo ha scelto tagli inconsulti e tasse. Ma quando saranno decise misure serie per il rilancio delle imprese e lo sviluppo economico? Non è dato di conoscere i tempi, ma forse potrebbe essere necessario un sostanziale cambiamento.
Negli ultimi venti anni il debito pubblico è sempre cresciuto. Fu argomento di riflessione negativa, quando il governo Prodi, per accontentare un’estrema sinistra che ha sempre postulato l’aiuto di stato, parlava di tesoretto e lo dissipò in interventi a pioggia che non portarono a nulla di strutturalmente positivo; come è inconcepibile che non si sia fatto tesoro di dieci anni di tassi molto contenuti e quindi del conseguente risparmio in termini di interessi da corrispondere sul debito, per utilizzare le maggior somme per ridurlo.
Ora che tutti i nostri capisaldi sono venuti meno, cominciamo a chiederci se la strada percorsa è giusta. Ci siamo fidati e siamo rimasti scottati. Ma, al di la del momento del dolore occorre guardare al futuro, la storia non si ferma ma un freno deve essere posto, ogni tassello che compone l’insieme della società deve riappropriarsi del suo ruolo.
Nessuno a oggi ha dimostrato di possedere una terapia efficace per risolvere il problema, troppe sono le variabili che vi concorrono e quindi una previsione è di fatto impossibile come lo è la definizione di un perimetro di certezza, fare una valutazione prospettica è ridicolo, se in gioco non vi fosse il futuro potrebbe essere addirittura divertente prendere nota giornalmente della affermazioni delle società di analisi per fare un statistica di efficacia delle previsioni: avremmo delle amare sorprese.
Per chi ha una minima esperienza nel campo delle società sa bene quanto sia difficile compiere una esatta valutazione. Lo dimostra il fatto, che i più grandi fallimenti della storia economica da Cirio, a Parmalat alla stessa Lehman Brothers, sono stati preceduti da bilanci certificati da importanti Società di Revisione. Questo per avvalorare il concetto che sulla base dei semplici dati numerici non si può avere nessuna esatta rappresentazione di una azienda. Allora c’è da domandarsi come possano delle società esprimere un giudizio in grado di condizionare la finanza di uno Stato. Mi riferisco alle famigerate società di rating, che in questi giorni sono sotto osservazione un po’ da parte di tutti operatori, politici e semplici investitori.
Le critiche che vengono loro rivolte non sono infondate, c’è legittimamente da chiedersi se un soggetto privato possa arrogarsi il diritto di esprimere un giudizio condizionante dei mercati senza aver prima dimostrato la sua assoluta indipendenza da tutte le componenti.
La sensazione è che queste società siano condizionate e che i giudizi che formulano siano asserviti agli obiettivi da raggiungere, e questo certamente è noto a tutti gli operatori. Il problema è che in un clima di volatilità e di incertezza come quello che stiamo attraversando qualsiasi notizia è in grado di scatenate reazioni inconsulte. Ecco perché certe valutazioni dovrebbero essere formulate con oculatezza. Al contrario, la disinvoltura con cui vengono partecipati giudizi negativi, che in alcuni casi sembrano addirittura avere una caratteristica ritorsiva, danno adito a dubbi circa la effettiva indipendenza di chi li formula. Nel contesto che stiamo vivendo dovrebbe divenire preminente il carattere pubblicistico e sopra le parti delle agenzie, e comunque c’è da chiedersi che valore può essere effettivamente attribuito ai giudizi che formulano?
Allo stato attuale, così come si è accorti a pubblicare determinate notizie che potrebbero ingenerare turbativa dei mercati si dovrebbe impedire la divulgazione di valutazione da parte di società private non siano supportati da elementi certi.
Se da il lato i Governi dovranno adottare misure per il contenimento della spesa pubblica, dall’altro dovrà anche essere affrontato il nodo del riordino della materia finanziaria con individuazione di precise figure che assicurino lo sviluppo delle imprese garantendo allo stesso tempo i risparmiatori e assicurando un equilibrio; base indispensabile per giungere al risanamento di un settore che, nel futuro prossimo, potrebbe riservare ancora delle sorprese.
Paolo Garuglieri , dirigente bancario